Italia

Passo necessario, ora completare l’unione bancaria

  • Abbonati
  • Accedi
L'Editoriale|risanamento e regole

Passo necessario, ora completare l’unione bancaria

Il decreto varato dal Governo apre una nuova stagione nelle tormentate vicende delle banche italiane e del Monte dei Paschi in particolare. Il dato positivo è che sono state evitate perdite immediate agli obbligazionisti che, a parte ogni altra considerazione sulla tutela del risparmio, meritavano un premio per il solo fatto di essere stati gli unici a credere ancora nella banca, con una conversione volontaria che aveva portato alla sottoscrizione di metà dell'ingente aumento di capitale richiesto a luglio dalla Bce. Nel frattempo, i sedicenti grandi investitori internazionali si sono eclissati senza lasciare sul tavolo neppure un centesimo. Ovviamente, la remunerazione concreta per tanta fedeltà si concretizzerà solo se l’iniezione di capitale pubblico sarà la premessa per il tanto atteso ritorno alla redditività e alla robustezza patrimoniale.

Il risanamento dovrà arrivare in tempi brevi perché la ricapitalizzazione statale nel nuovo quadro europeo non riporta le lancette dell’orologio ai tempi in cui la banca senese era un istituto di diritto pubblico che gestiva tranquillamente una situazione di quasi monopolio. Il Monte rimane una società quotata con tutte le responsabilità che questo comporta. Deve quindi usare l’ombrello del capitale pubblico per varare un nuovo piano industriale, che con tutta probabilità comporterà misure ancora più drastiche dei piani precedenti, a cominciare dalle remunerazioni apicali, che non potranno più essere clamorosamente divergenti da quelle previste per gli amministratori pubblici.

L’orizzonte si rischiara anche per le altre banche in difficoltà, prima di tutto quelle venete, perché è ormai chiaro che l’intervento di Atlante, che era stato considerato risolutivo appena qualche mese fa, non è più sufficiente.

Sirischiara anche per la parte sana del sistema (che per fortuna è la maggioranza) perché un intervento di questa portata evita i pericoli di contagio che è stato uno dei problemi principali di queste convulse settimane. Dunque una grande boccata d’ossigeno per tutti, a un prezzo immediato apparentemente solo simbolico: la rinuncia al vanto di essere l’unico grande Paese europeo che non abbia dovuto iniettare capitali pubblici e abbia affidato a meccanismi privati e di mercato la risoluzione dei non pochi punti di crisi emersi nel decennio. In realtà, poiché questo è stato il leit-motiv delle analisi ufficiali sulla situazione del sistema bancario italiano, la rinuncia al principio è qualcosa di più di un semplice mutamento formale.

Il punto fondamentale è che il decreto, come altri in Europa, sembra ripetere lo schema che nel 2008 ha risollevato di colpo le banche Usa, mettendo in campo capitali pubblici per assicurare stabilità. Ma va ricordato che il segretario del Tesoro di allora, Hank Paulson, aveva agito su entrambi i lati del bilancio: rafforzando il patrimonio e acquistando le attività più rischiose che erano allora i titoli “tossici”. In Europa questo secondo lato del problema, che riguarda i crediti dubbi arrivati ormai a sfondare il muro del trilione di euro, è lasciato all’iniziativa delle singole banche, che devono caso per caso varare complessi piani di cessione dei crediti, a prezzi largamente inferiori a quelli di carico e che quindi comportano ulteriori perdite ed erosioni del patrimonio.

La differenza di prezzo non è però causata da errate valutazioni sui probabili valori di recupero, ma anche dal fatto che il mercato dei crediti dubbi è piccolo e non abbastanza efficiente. Lo dicono fior di analisi del Fondo monetario, della Bce e della stessa Commissione europea che concludono con una precisa indicazione di policy: costituire, anche con il supporto pubblico, società per la gestione dei crediti dubbi, che possano finalmente consentire di arrivare alla massa critica per avvicinare il prezzo di offerta a quello che non impone penalizzazioni eccessive alle banche. L’ideale sarebbe una risposta europea al problema applicata almeno ai Paesi periferici dove il problema dei crediti dubbi è più rilevante. È vero che l’ampiezza dell’intervento del governo è tale per lasciare somme disponibili per il sostegno a iniziative di gestione accentrata e coordinata dei crediti dubbi, ma un segnale dall’Europa avrebbe un valore politico fondamentale di trovare soluzioni comuni a un problema che è europeo.

Infine, i timori sistemici ci ricordano che in un’unione monetaria sono necessarie reti di sicurezza comuni, a cominciare dall’assicurazione dei depositi: finché i sistemi rimangono nazionali, la credibilità della copertura è pari a quella del singolo Paese, non dell’eurozona. È il pilastro ancora incompleto dell’Unione bancaria, con effetti negativi che la stessa Bce non manca di sottolineare.

Insomma, l’intervento del governo deve essere un forte incentivo per le banche, a cominciare ovviamente da Monte dei Paschi, a realizzare in tempi rapidi un risanamento da troppo tempo atteso, ma anche l’occasione per avere finalmente risposte europee all’altezza dei problemi.

© Riproduzione riservata