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Quella semplificazione che manca al regime di cassa

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Quella semplificazione che manca al regime di cassa

Iprincipi sottesi ai regimi fiscali di cassa sono ineccepibili: le imposte si pagano con i quattrini e non occorre chiedere prestiti per pagarle secondo competenza; l’individuazione dei ricavi di competenza è spesso fonte di opinioni contrastanti; nelle imprese di piccola/media dimensione la quantificazione delle rimanenze viene fatta più inventando che inventariando, per non parlare degli oneri e delle incertezze dei criteri di valutazione.

L’elemento che più sfugge al criterio di cassa riguarda gli investimenti in beni strumentali, ma se il titolare ricorre al noleggio o al leasing il pagamento delle rate scandisce anche il saldo finanziario dell’attività, da cui prelevare i denari occorrenti per pagare le imposte.

La determinazione del saldo positivo della gestione risente peraltro di due rilevanti elementi di incertezza, non sempre subordinati alla volontà del titolare: il rispetto dei termini di pagamento da parte dei clienti e la necessità o l’opportunità di ricostituire le scorte, oppure di incrementarle piuttosto che ridurle, in funzione dei programmi di produzione e vendita, spesso difficili se non impossibili da governare, specie nei momenti di crisi.

La posizione finanziaria netta può pertanto manifestarsi in termini positivi, nel qual caso il regime di cassa chiede il pagamento delle imposte, ma anche in termini negativi.

Questa premessa serve a inquadrare il nuovo regime di cassa, obbligatorio dal 2017 per le imprese minori in contabilità semplificata. Di regola, in presenza di un magazzino non trascurabile, quest’anno chiuderà in negativo, in quanto le rimanenze finali del 2016 sono computate in riduzione dei flussi finanziari, con l’aggiunta di tutti gli acquisti dell’anno, senza sottrarre le rimanenze finali 2017.

L’alternativa tra anni in utile fiscale e quelli in perdita diventerà la regola per questi soggetti, con il rischio di un onere fiscale spropositato negli anni con il segno più. Un piccolo esempio: un imprenditore chiude il 2017 (anche per il motivo sopra richiamato) con 30mila di segno negativo. A legislazione vigente può solo utilizzarlo per compensare altri redditi dello stesso anno, redditi che per molti piccoli imprenditori non esistono, in quanto l’intera capacità contributiva è espressa dall’attività esercitata. L’anno dopo, azzerato l’effetto delle rimanenze (che non saranno calcolate né all’inizio né alla fine) il risultato finanziario è positivo per 70mila, importo su cui si pagheranno le imposte (lorde) per 23.370 euro. Se esistesse il riporto all’interno del regime, l’imponibile del 2018 sarebbe di 40mila euro (70mila – 30mila), cui corrisponde un’imposta lorda di 11.520 euro, cioè meno della metà.

Considerando che il criterio di cassa diventa obbligatorio per tutte le imprese minori in contabilità semplificata, la soluzione più semplice consiste in una semplice modifica normativa, per stabilire che le annualità negative sono riportate in avanti negli anni successivi, così come è stato fatto per l’imposta proporzionale sul reddito di impresa, ove il saldo negativo dipende prevalentemente da scelte del titolare o dei soci, relative al prelevamento dell’utile. A maggior motivo deve essere stabilito per la cassa delle imprese minori, frequentemente determinata da situazioni estranee a chi gestisce l’attività.

L’altra soluzione - meno appagante perché determina un ulteriore incremento dei regimi - è quella di sostituirne l’obbligatorietà per le imprese in contabilità semplificata con una regola a disposizione di chi intenda esprimere un’opzione in tal senso.

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