Index Ventures, inglese, HV Holtzbrinck Ventures, tedesco, Sequoia Capital, americano ma con sede “europea” in Israele: sono questi i tre venture capital che guidano la classifica di Dealroom, piattaforma olandese di matching tra investitori e startup che periodicamente stila la lista dei 500 operatori in capitale di rischio più attivi nel Vecchio Continente. La graduatoria, continuamente aggiornata e accessibile pubblicamente online (la versione definitiva verrà pubblicata il 27 aprile), è compilata sulla base di diversi parametri ed è frutto di una selezione che comprende oltre 6mila fra fondi di investimento, corporate venture, business angel e acceleratori. A determinare il ranking vi sono indicatori quali il numero di round effettuati in un anno, le exit totali e il loro ammontare, le startup in portfolio con valore superiore ai 500 milioni di euro.
Per Index Ventures, nata nel 1996 e con un pool di aziende finanziate che annovera nomi di spicco come Dropbox, BlaBlaCar e Just Eat, si tratta di una conferma rispetto all'anno precedente. Dalla sua, il venture britannico vanta una disponibilità di capitale superiore ai 700 milioni di dollari. Simili, parliamo infatti di 735 milioni di euro, gli asset che gestisce HV Holtzbrinck Ventures, attivo dal 2000 nel campo dei finanziamenti seed ed early stage rivolti a startup e nuove Internet company. Fra le 150 operazioni portate a termine quelle di maggior peso hanno interessato realtà come Zalando, Groupon, Quandoo, Flixbus, Westwing, Home24 e Delivery Hero. Quanto a Sequoia Capital, non c'è bisogno di particolari presentazioni: fondato nel 1972 a Menlo Park, in Silicon Valley, è uno dei più importanti venture capital su scala globale e il valore di mercato delle società in cui ha investito (oltre 250 fra cui Apple e Google, PayPal e Yahoo!, YouTube, Instagam e WhatsApp) è oggi superiore a 1,4 trilioni di dollari.
Per completare la top ten, DealRoom mette invece in fila dal quarto al decimo posto Accel Partners, Insight Venture Partners (entrambi fondi Usa con sede europea nel Regno Unito), Rocket Internet SE (tedesco), Balderton Capital (inglese), Greylock Partners, Bessemer Venture Partners (altri due Vc made in Usa) e Oleg Tscheltzoff, imprenditore seriale e business angel (oltre che fondatore e Ceo di Fotolia) con oltre una ventina di investimenti condotti personalmente. E i venture italiani? Il primo in graduatoria, al 155esimo posto al momento in cui scriviamo, è Innogest Capital. Il suo ultimo colpo è la partecipazione al round da 34,5 milioni di euro della spagnola MedLumic, specializzata nella produzione di strumenti ottici guidati per la cardiochirurgia. Alle sue spalle sono classificati P101 (al 256esimo posto, fra le società in portfolio spicca la fintech BorsadelCredito) e United Ventures (al 276esimo, con il fiore all'occhiello di MoneyFArm) mentre nelle posizioni di retrovia troviamo Mediaset (inserito come corporate venture al 438esimo posto) e il fondo pubblico italiano Invitalia Ventures, che occupa l'ultima casella del ranking. La fotografia scattata da Dealroom vede quindi l'Italia occupare un ruolo ancora marginale nell'economia dell'ecosistema startup europeo, sia in termini di venture sia in termini di raccolta. La Francia, per contro, è il Paese che ha registrato il maggiore numero dei deal in assoluto nel 2016, ben 590, e quello che registrato la più consistente crescita in termini di capitale investito, crescendo da 1,5 miliardi a 2,7 miliardi di euro. Il nostro Paese si ferma a un centinaio di operazioni e circa 160 milioni di euro raccolti.
Il fondo Invitalia Ventures ha voluto precisare in merito all’articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore del 18 aprile 2018. Nella citata classifica Dealroom, dei fondi di venture capital italiani che investono di più nell'UE , il fondo di Invitalia Ventures occupa l'ultimo posto, in un contesto in cui l'Italia ha un ruolo ancora marginale nell'ecosistema delle startup in europa.
Ci preme sottolineare che Dealroom utilizza dei criteri di valutazione penalizzanti per chi è da poco sul mercato. Attribuisce infatti un peso maggiore alle exit totali (volume e valore) e alla dimensione del portfolio (con valore superiore ai 500 milioni di euro), mentre non prende assolutamente in considerazione il criterio dell'“anzianità” di un fondo. Questo, inevitabilmente, penalizza i player “giovani” come Invitalia Ventures, operativa dalla fine del 2015.
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