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Web tax, rischio falsa partenza

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Web tax, rischio falsa partenza

Un po’ come la tassa Airbnb, che non è una tassa (ma una ritenuta) e non riguarda solo Airbnb, anche la web tax italiana non corrisponde al suo “nome comune”. Più che un’imposta, è una procedura facoltativa rivolta ai grandi operatori – compresi i big di internet come Google e Facebook –, che può essere usata per stabilire in anticipo gli importi dovuti al Fisco. Un meccanismo volontario introdotto dalla legge di conversione della manovrina (articolo 1-bis del Dl 50/2017), che si affianca ad altri regimi già esistenti, quali la cooperative compliance e il ruling internazionale.

Di fronte alla nuova economia digitale, in effetti, le incertezze sono molto frequenti, e non solo a livello linguistico. Tanto che il debutto della nuova web tax rischia di trasformarsi in una falsa partenza.

A sollevare più di un dubbio sull’efficacia della nuova procedura è l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) nel Flash dello scorso 1° agosto. «Proprio le imprese digitali – si legge – possono avere maggiore incentivo a rimanere “nell’ombra” sfruttando le peculiari opportunità di elusione di cui dispongono».

Sotto la lente dell’Ocse

La tendenza delle multinazionali a trasferire ricavi e profitti in Paesi a fiscalità privilegiata è da anni al centro dell’attenzione dell’Ocse. La stessa Ocse è contraria a “isolare” l’economia digitale da quella tradizionale per finalità fiscali, perché ormai il web è parte dell’economia in sé.

In questo senso è logico che la web tax, introdotta dal Dl 50, si rivolga indistintamente alle società operanti in Italia inquadrate in gruppi multinazionali senza stabile organizzazione nel nostro Paese. La specificità del web, se c’è, consiste piuttosto nel fatto che le transazioni digitali rendono ancora più facile spostare ricavi e profitti all’estero. È stato stimato che Google dichiara e tassa in Italia lo 0,3% dei propri ricavi complessivi, a fronte di transazioni localizzate nel nostro Paese pari al 2,4% del totale; mentre per Facebook le percentuali sarebbero – rispettivamente – lo 0,1 e il 2,8%, con la differenza canalizzata (e tassata) in Irlanda. Le cifre sono contenute nell’audizione informale dell’Upb dello scorso 15 marzo, dedicata al disegno di legge (As 2526) presentato dal senatore Massimo Mucchetti (Pd), che prevede tra l’altro l’introduzione di una ritenuta alla fonte del 26% sui ricavi realizzati e monitorati in Italia. Un prelievo molto più alto di quello ordinario sui profitti, pensato per incentivare la ricerca delle intese con il Fisco.

Al contrario, nel sistema delineato dal Dl 50 – che peraltro deve ancora essere attuato dalle Entrate – la spinta a un accordo rischia di essere nulla. Anche perché molte imprese digitali non hanno sedi di direzione né succursali in Italia, quindi per provare la stabile organizzazione bisogna dimostrare la presenza di un soggetto che conclude abitualmente in Italia contratti diversi da quelli d’acquisto in nome dell’impresa estera: una prova complessa, che può trascinarsi per anni nelle Commissioni tributarie. Un altro Ddl, presentato alla Camera (Ac 3076), prevede l’introduzione del concetto di stabile organizzazione virtuale, ma anche questo testo è lontano dall’approvazione.

Al lavoro c’è anche il Governo, come ha ricordato la scorsa settimana il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che sta studiando «una vera web tax», anche se per avere un’imposizione generalizzata occorre «intervenire a livello internazionale».

Il potenziale

Tra la “materia imponibile” a maggior rischio di elusione nell’economia digitale c’è la pubblicità online, che si stima sia pari a 36,4 miliardi a livello europeo nel 2015 e a 1,7 miliardi in Italia (il 22,5% del totale nazionale).

Anche se non tutti questi ricavi vengono trasferiti all’estero, è facile intuire il potenziale della web tax. Nei giorni precedenti l’introduzione del nuovo meccanismo, il presidente della commissione bilancio della Camera, Francesco Boccia (Pd), aveva ipotizzato un miliardo di euro nel 2017. La norma inserita nel Dl 50, però, non è corredata da relazione tecnica e, al momento, arrivare a stime di gettito credibile pare impossibile.

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