È una delle agevolazioni più utilizzate, tant’è vero che appare nella maggior parte dei rogiti per l’acquisto di abitazioni. La “prima casa” consiste principalmente, a seconda dei casi, nell’abbattimento dell’Iva dal 10 al 4% e dell’imposta di registro dal 9 al 2% (o all’1,5% se si tratta di un acquisto effettuato per il tramite di un contratto di leasing).
L’abbandono del tenore di vita
Ad esempio, a dare un ulteriore colpo di spugna al criterio del tenore di vita – che già la Corte Costituzionale con la sentenza 11/2015 non aveva ritenuto di valenza assoluta – è il Tribunale di Palermo con la sentenza 334 del 12 maggio 2017. I giudici - valorizzate le conseguenze estintive del divorzio e la natura assistenziale dell’assegno - hanno infatti escluso che si debba garantire all’ex il mantenimento dello stile di vita matrimoniale. Diversamente, si ripristinerebbe un legame già reciso. Più corretto, perciò, subordinarne il riconoscimento alla mancata autosufficienza, desumibile dal possesso di redditi o cespiti, dall’idoneità lavorativa, dalle possibilità d’impiego o dalla disponibilità di un alloggio.
Rema contro il tenore di vita anche un’altra sentenza della Cassazione (la 15481/2017) che revoca l’assegno alla divorziata che abbia acquisito l’indipendenza grazie alla pensione riconosciutale. Ma a doverne provare l’autonomia, è l’onerato del pagamento, salva replica del beneficiario.
L’indipendenza
Chi percepisce l’assegno e teme di perderlo, tuttavia, non sarà chiamato - precisa la Cassazione nella sentenza 11538/2017 - a fornire la prova “diabolica” dell’impossibilità assoluta di trovare un’occupazione, se la sua mancata autosufficienza possa comunque desumersi.
Quanto, invece, alla nozione di indipendenza economica, un’utile guida arriva dall’ordinanza emessa, il 22 maggio 2017, dalla nona sezione del Tribunale di Milano. Aderendo alla pronuncia 11504/2017 – e al rilievo per cui l’assegno divorzile non può tradursi in un «arricchimento» che ne alteri la funzione assistenziale (Tribunale di Firenze, 22 maggio 2013) – il collegio chiarisce che l’«indipendenza economica» va intesa come «capacità per una determinata persona adulta e sana – tenuto conto del contesto sociale di inserimento – di provvedere al proprio sostentamento, inteso come capacità di avere risorse sufficienti per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali)». E allora, un parametro (non esclusivo) di riferimento può essere l’ammontare degli introiti che consentono l’accesso al patrocinio a spese dello Stato (pari a circa mille euro al mese), superati i quali potrebbe negarsi il diritto all’assegno.
Un altro indice, poi, potrà ravvisarsi nel «reddito medio percepito nella zona in cui il richiedente vive ed abita».
Il ritorno alla tradizione
Si torna, invece, a sorpresa al tenore di vita nella sentenza del primo giugno 2017 emessa dal Tribunale di Udine. I giudici abbracciano nuovamente, la tesi tradizionale per cui il tenore di vita, seppur temperato da altri fattori di moderazione, diminuzione o azzeramento della misura (Cassazione sentenza 2546/2014), resta indice basilare nel determinare e quantificare l’assegno. Bacchettata, quindi, la sentenza 11504/2017, tacciata di aver ancorato l’assegno a un parametro «del tutto astratto».
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