È una delle agevolazioni più utilizzate, tant’è vero che appare nella maggior parte dei rogiti per l’acquisto di abitazioni. La “prima casa” consiste principalmente, a seconda dei casi, nell’abbattimento dell’Iva dal 10 al 4% e dell’imposta di registro dal 9 al 2% (o all’1,5% se si tratta di un acquisto effettuato per il tramite di un contratto di leasing).
Vediamo, allora, quali sono le regole per dirsi addio e quale tutela economica è prevista, a fine rapporto, per la parte più debole.
L’unione civile
Più agile, rispetto a quello per gli sposati, è l’iter per lasciarsi: i componenti dell’unione possono sciogliere il vincolo direttamente, senza passare dalla separazione, purché comunichino all’ufficiale di stato civile, anche disgiuntamente, l’intenzione di dividersi. Decorsi tre mesi, poi, potranno proporre domanda di scioglimento. L’unione, però, si interrompe anche se uno dei due cambia sesso. Viceversa, se la rettifica anagrafica di sesso avviene all’interno di un matrimonio e i coniugi non vogliono chiuderlo, il rapporto si trasforma in unione.
Anche per chi è legato dall’unione civile sono aperte le strade alternative per divorziare: in Comune, davanti all’ufficiale dello stato civile, o con la negoziazione assistita degli avvocati. E nell’ipotesi in cui l’unione civile finisca, si applicheranno – considerata la quasi totale equiparazione degli uniti ai coniugi – le stesse regole, valide per il matrimonio, in materia di alimenti al partner economicamente più debole.
Le convivenze
Anche i conviventi di fatto sono vincolati alla reciproca assistenza morale e materiale, ma il quadro di tutele è nettamente più fragile rispetto al matrimoni e alle unioni civili. La legge prevede, ed è questa la principale novità, la possibilità di stipulare un «contratto di convivenza» per «disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune» e optare per la comunione dei beni, concordare la residenza o le modalità di contribuzione alla coabitazione. Contratto che si risolve – oltre che per morte di uno dei contraenti o per matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente e un’altra persona – anche per accordo o recesso unilaterale, casi in cui la risoluzione va redatta in forma scritta, ferma la competenza del notaio per l’eventuale trasferimento di diritti reali immobiliari legati al contratto di convivenza. E se la coppia aveva scelto la comunione dei beni, anch’essa si scioglie.
Nessun divorzio, dunque, per i conviventi, né in Comune né in negoziazione assistita. Ma se uno dei partner, a rapporto concluso, risulti indigente e incapace di sostentarsi da solo, potrà ottenere un assegno alimentare commisurato alla durata della convivenza. Diritto che, sia chiaro, scatta solo per le convivenze cessate a partire dal 5 giugno 2016, data di entrata in vigore della legge 76/2016 (Tribunale di Milano, 23 gennaio 2017).
Il calcolo dei versamenti
L’importo dell’assegno, commisurato al periodo effettivo di convivenza, andrà determinato alla luce dello stato di bisogno di chi lo richiede e delle condizioni economiche della parte tenuta a versarlo (articolo 438, comma II, Codice civile).
Il mensile, però, non potrà superare quanto sia necessario per la vita dell’ex convivente, ma l’obbligo alimentare è anteposto a quello che grava su fratelli e sorelle della persona bisognosa.
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