Gli enti del terzo settore potranno beneficiare di una serie di agevolazioni fiscali in funzione dell’inquadramento civilistico e del tipo di attività svolta in via esclusiva o principale. Quest’ultima dovrà rientrare tra quelle di interesse generale previste nell’elenco di cui all’articolo 5 del Codice redatto sulla scorta dell’esperienza delle Onlus ma con qualche adattamento agli sviluppi che il terzo settore ha avuto negli anni (si pensi al commercio equo e solidale e alle politiche attive del lavoro). Gli Ets potranno svolgere anche attività ulteriori «secondarie e strumentali» rispetto a quelle di interesse generale tenendo conto dell’insieme delle risorse anche volontarie e gratuite impiegate in queste ultime. La definizione di attività secondaria sarà demandata a un successivo decreto attuativo con il compito di rendere uniforme la disciplina e superare le incertezze interpretative che hanno caratterizzato finora le attività cosiddette “connesse” a quelle istituzionali previste per le Onlus.
Criteri univoci
Il Codice, per chiarire il confine tra il mondo profit e no profit, introduce criteri univoci di carattere qualitativo e quantitativo per individuare gli Ets non commerciali ai quali spetta l’accesso ai regimi fiscali agevolati (si vada l’articolo in pagina). Sono «non commerciali» le attività principali svolte in prevalenza a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che, unitamente ai contributi pubblici (si pensi alle attività svolte dagli Ets in convenzione, come formazione o assistenza socio-sanitaria) non superano i costi effettivi (includendo quelli diretti e le spese generali). Non concorrono alla formazione del reddito, inoltre, i fondi pervenuti a seguito di raccolte occasionali, anche attraverso la vendita di beni o campagne di sensibilizzazione, i contributi erogati da amministrazioni pubbliche nonché, per gli enti associativi, le attività prestate agli associati dietro corrispettivi specifici e le quote associative. Gli Ets potranno mantenere la qualifica “non commerciale” solo qualora le entrate derivanti da attività no profit superano, nel periodo d’imposta, quelle di carattere commerciale. Queste ultime potranno essere svolte, sia in forma principale che secondaria e strumentale, nei limiti del 49%, beneficiando degli speciali regimi di tassazione in forma agevolata.
Calcolo della prevalenza
Nel calcolo della prevalenza andranno computati, tra le entrate “non commerciali”, i contributi, sia pubblici che privati, le liberalità, le quote associative e il valore normale delle cessioni o prestazioni svolte con modalità non commerciali. Non rilevano invece, secondo espressa previsione del legislatore, le sponsorizzazioni allo scopo di favorire il reperimento di finanziamenti da parte degli enti senza con questo compromettere il proprio inquadramento fiscale.
Per le organizzazioni di volontariato restano non commerciali la vendita senza intermediari di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito o prodotti dagli assistiti, nonché la somministrazione di alimenti o bevande in occasioni specifiche. La somministrazione resta fuori dall’ambito della commercialità anche per le associazioni di promozione sociale se effettuate presso le sedi istituzionali, in modo complementare rispetto all’attività principale purché svolta senza pubblicità.
© Riproduzione riservata