La legge italiana – fatto salvo l’accenno al trust contenuto nella legge sul “dopo di noi” – attualmente contempla il trust solo con riferimento alle sue implicazioni fiscali. Per istituire e regolamentare un trust è dunque necessario, in mancanza di una norma nazionale, riferirsi innanzitutto alla normativa contenuta nella «Convenzione relativa alla legge applicabile ai trust e al loro riconoscimento» sottoscritta all’Aja il 1° luglio 1985 (e ratificata dall’Italia con legge 16 ottobre 1989, n. 364).
Le norme applicabili
Questa convenzione è però di limitata utilità, in quanto, da un lato, definisce solo i caratteri fondamentali del trust, ma non si addentra nella sua specifica regolamentazione; d’altro lato, detta sì regole finalizzate a individuare quale sia legge applicabile al trust, se non indicata dal disponente: però, questa ricerca diventa sterile, in mancanza di una legge italiana sul trust, se il trust è istituito da un disponente italiano, prevede la nomina di un trustee italiano, riguarda beni siti in Italia e designa beneficiari italiani.
Alla luce di questa situazione:
nell’atto istitutivo del trust occorre effettuare la scelta della legge straniera da applicare, con la conseguenza che bisogna conoscere approfonditamente non solo la legge stessa, ma anche il sistema giuridico cui essa appartiene, poiché la legge non può essere compresa appieno se non calata nel contesto dal quale essa origina;
l’atto istitutivo del trust deve, nel massimo rispetto della legislazione estera, essere analitica e regolamentare tutte le situazioni possibili, in modo che sia assai compressa l’eventualità di dover ricorrere alla legge applicabile per disciplinare l’accadimento di eventi che non trovano regolamentazione nell’atto istitutivo.
L’atto costitutivo
Si tratta di due questioni di notevolissima difficoltà tecnica. Anzitutto perché, essendo il trust di origine anglosassone, è prassi in Italia indicare come applicabile la legislazione di un paese anglofono (spesso, si usa la legge dell’isola di Jersey, perché è assai flessibile ed è facilmente traducibile, essendo scritta in un inglese “commerciale”); ma con la difficoltà di aver a che fare con un ordinamento che, traendo i principi dal precedente giurisprudenziale, ha un approccio opposto rispetto al nostro, nel quale la decisione del giudice è figlia dei principi stabiliti a priori dalla legge.
Inoltre, proprio perché nel nostro ordinamento è la legge a dettare i principi generali, i nostri contratti sono tradizionalmente poco analitici e di dimensioni contenute, in quanto, appunto, per le parti non regolamentate, c’è sempre la legge a provvedere. Dover invece procedere alla redazione di testi minuziosi per prevedere ogni eventualità, anche le più remote è, per il professionista di diritto latino, uno sforzo notevolissimo, perché antitetico rispetto al clima culturale in cui egli si è formato e quotidianamente opera.
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