Con la trasformazione di una società commerciale (di persone o di capitali) in società semplice entro il 30 settembre si realizza una uscita agevolata dal regime d’impresa, sia ai fini delle imposte dirette che, in linea generale, ai fini Iva. Diversamente da assegnazione e cessione – non seguiti dallo scioglimento – l’operazione consente di abbandonare definitivamente la “stretta” delle società di comodo, poiché non è solo un bene ma è l’intero patrimonio sociale ad uscire dalla sfera imprenditoriale, anche se con effetti limitati ai periodi d’imposta post-trasformazione. Si entra, con un costo spesso limitato, nel “mondo” fiscale dei soggetti Irpef non imprenditori e privi di partita Iva. Scelta sicuramente radicale, ma, in moltissimi casi, molto più aderente al reale utilizzo dei beni.
Requisiti d’accesso
Possono effettuare la trasformazione solo le società che hanno per oggetto esclusivo o principale la gestione dei beni assegnabili; in ambito agricolo, ad esempio, è necessario che i terreni – alla data della trasformazione – siano concessi in affitto o, comunque, non coltivati direttamente (come affermato dalla Cassazione, 18467/2017). A tale data, inoltre, devono esserci solo soci che erano già tali al 30 settembre 2015, anche se la quota di partecipazione, nel frattempo, può essere variata.
Circaa l’oggetto della società, rileva l’attività effettivamente svolta, per cui una società di persone o di capitali che si limita alla mera locazione immobiliare può trasformarsi in società semplice anche se in statuto è prevista la compravendita o la costruzione/ristrutturazione immobiliare, come spesso accade. Il tema è stato affrontato da due studi del Notariato (69-2016/T e 73-2016/I) che superano posizioni più rigide assunte in passato da parte della dottrina. Ovviamente, all’atto della trasformazione, tali attività vanno espunte dall’oggetto sociale, in quanto non attuabili nelle vesti di società semplice.
Gli effetti fiscali si allontanano da quelli della “ordinaria” trasformazione tra società commerciali, per avvicinarsi a quelli della trasformazione eterogenea (articolo 171 del Tuir). Ciò significa che:
- i beni diversi da quelli agevolati vanno considerati come destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, con conseguente emersione di plus/minusvalenze rilevanti;
- le riserve in sospensione d’imposta sono per l’intero ammontare assoggettate a tassazione sostitutiva del 13% (si ritiene senza alcuna imposizione aggiuntiva sui soci);
- le riserve di utili delle società di capitali si intendono distribuite nel periodo di imposta successivo alla trasformazione;
- la base imponibile dell’imposta sostitutiva (sia quella dell’8%-10,5% che quella del 13%) accresce, in proporzione, il costo fiscalmente riconosciuto delle quote possedute dai soci, rendendo più leggero un eventuale capital gain in caso di successiva cessione delle quote.
La vendita successiva
Poiché la trasformazione non interrompe il quinquennio di possesso, la successiva cessione dell’immobile da parte della società semplice – fattispecie che genera reddito diverso e non più d’impresa – produrrà, quasi sempre, un plusvalore non imponibile per la società, che dovrebbe mantenere tale qualificazione anche ove ripartito tra soci, pure in sede di liquidazione (interpello Dre Lombardia 904/91/2013).
Partita Iva e imposte indirette
Per l’Agenzia, la chiusura della partita Iva è connaturata alla trasformazione e, comportando la destinazione dei beni a finalità estranee all’esercizio d’impresa, realizza il presupposto oggettivo Iva (qualora detratta all’atto dell’acquisto), con applicazione di regole simili a quelle delineate per l’assegnazione di beni ai soci. L’imposta di registro e quelle ipocatastali sono fisse (200 euro ciascuna).
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