La cessione agevolata, rispetto all’assegnazione:
- non comporta distribuzione del netto patrimoniale, e quindi non ha effetti diretti sulla fiscalità dei soci;
- non comporta la ricerca della proporzionalità di tale distribuzione con la “caratura” delle partecipazioni dei soci.
Ciò nonostante, l’operazione mantiene le agevolazioni previste dal legislatore per l’assegnazione, vale a dire – principalmente – la sostitutiva ridotta, la possibilità di optare per il valore catastale degli immobili e l’applicazione alleggerita delle imposte di registro e ipocatastali.
Dal punto di vista Iva, la cessione segue le regole ordinarie, per cui non entrano in gioco le particolarità legate “all’autoconsumo”, né la peculiare modalità di determinazione della base imponibile prevista per le assegnazioni.
La cessione, però, prevede un corrispettivo in denaro da parte del socio (oppure si deve trattare di un conferimento in società o di una permuta). E il legislatore ha previsto che il corrispettivo, se inferiore al valore normale del bene o a quello catastale, sia computato in misura non inferiore ad uno dei due valori. Per la circolare 26/E/2016 ciò significa che il corrispettivo della cessione rileva soltanto se pari o superiore al valore normale/catastale, altrimenti diviene ininfluente. Tuttavia, il costo fiscalmente riconosciuto del bene, da assumere da parte del cessionario, è costituito dal corrispettivo pattuito per la cessione, a prescindere dal valore usato per determinare l’imposta sostitutiva. Secondo la risoluzione 101/E/2017 la minusvalenza da cessione è deducibile solo se l’operazione avviene al valore normale.
Il corrispettivo può essere finanziariamente compensato con crediti vantati dal socio acquirente verso la società: ad esempio, finanziamenti precedenti, anche se tale compensazione deve essere valutata alla luce delle norme codicistiche sulla postergazione (articolo 2467 del Codice civile).
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