Le difficoltà relative all’applicazione della mutevole normativa che impone l’obbligo dell’inversione contabile ha obbligato il legislatore a rivedere il quadro di riferimento sanzionatorio collegato alle singole fattispecie. In effetti, il legislatore con il Dlgs 158/2016 ha previsto una sostanziale modifica dell’articolo 6 del Dlgs 471/97 al fine di rendere più proporzionale il livello di sanzioni applicabili agli errori interpretativi che possono generarsi nell’applicazione della specifica normativa.
Più in particolare la ratio dell’intervento è stato quello di ridurre notevolmente l’impatto sanzionatorio tutte le volte che l’erronea applicazione del meccanismo del reverse charge determini una violazione di lieve entità sia sul piano del danno erariale che sul piano della accertabilità della violazione da parte dei verificatori. Ovviamente tale attenuazione non opera nel caso in cui la violazione sia realizzata per scopi di frode fiscale ovvero nel caso in cui l’operazione era totalmente estranea alla specifica normativa derogatoria.
Il diritto alla detrazione
L’intervento del legislatore, adeguandosi ai principi imposti dalle interpretazioni della Corte di giustizia, oltre a garantire una maggiore proporzionalità delle sanzioni ha anche lo scopo di precisare che, comunque, il diritto a detrazione deve essere sempre rispettato e quindi anche in applicazione erronea del meccanismo dell’inversione contabile il contribuente deve poter conservare il suo diritto a detrazione. In relazione a questo profilo bisogna evidenziare, però, che la norma come riscritta sembra essere ancor più favorevole all’orientamento della Corte di giustizia che con la sentenza causa C- 564/2015 del 26 aprile 2017 ha individuato che tale diritto spetta (a prescindere da chi abbia erroneamente applicato o non applicato il regime di reverse charge) al cedente/prestatore che deve poter richiedere al fisco la restituzione dell’eventuale imposta erroneamente versata.
Ad interpretazione dell’intero sistema sanzionatorio così come riformulato è stata emanata dall’agenzia delle Entrate un’articolata circolare ( 16/E/2017) con la quale sono stati chiariti alcuni passaggi applicativi specialmente in ragione del sovrapporsi di diverse disposizioni.
La riforma ha comportato la modifica dell’articolo 6, commi 2 e 9 bis del Dlgs 471/97 con l’introduzione dei commi 9 bis 1, 9 bis 2 e 9 bis 3. In particolare, i commi 9-bis 1 e 9 bis 2 prevedono una sanzione più lieve (in misura fissa da 250 a 10mila euro) rispettivamente per tutte quelle ipotesi in cui il contribuente ha erroneamente applicato l’Iva ordinaria in luogo del reverse charge ovvero ha applicato il reverse charge in luogo dell’Iva ordinaria. I due commi sono sostanzialmente speculari tra di loro.
Il comma 9 bis 3 riguarda invece l’errata applicazione del reverse charge ad operazioni esenti, non imponibili, non soggette ovvero inesistenti. Ovviamente per questa ultima ipotesi (operazioni inesistenti), il legislatore ha previsto, in luogo di una sanzione fissa, una sanzione proporzionale compresa tra il 5 e il 10% dell’imponibile con un minimo di mille euro.
Le nuove regole più favorevoli sono applicabili, a differenza del passato, anche alle ipotesi di inversione previste nel settore dell’agricoltura e per le operazioni intracomunitarie.
Ovviamente tutte le modifiche in base al favor rei si applicano anche per il passato e quindi impongono una rivisitazione di tutti i contenziosi pendenti.
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