La notizia è ufficiale: Mosca conferma il via libera di Vladimir Putin allo studio di uno speciale “criptorublo” per cercare di aggirare le sanzioni occidentali, facendo adottare alle maggiori istituzioni governative russe una blockchain (la speciale tecnologia crittografica distribuita usata da Bitcoin e simili, che “valida” le transazioni tra due parti senza la necessità di un’autorità centrale).
A premere per il “Bitcoin russo” pare sia stato in particolare Sergei Glazev, consulente economico del Cremlino, che in un recente incontro con Putin ha sottolineato come il criptorublo permetterebbe a Mosca «di saldare i pagamenti con le nostre controparti in tutto il mondo dimenticando le sanzioni». Più in dettaglio, secondo Glazev la nuova criptovaluta russa consisterebbe nello «stesso rublo, ma con una circolazione limitata». Putin ha drizzato le orecchie e - dopo aver convocato al Cremlino per ulteriori spiegazioni Vitalik Buterin, creatore della criptovaluta Ethereum - ha ordinato la redazione di uno studio di fattibilità per introdurre il criptorublo.
Storica rivoluzione nel sistema dei pagamenti o semplice boutade pre-elettorale? A sentire gli addetti ai lavori quella di Mosca è molto più la seconda della prima: da tempo la Banca centrale europea e la Banca del Giappone ripetono che la tecnologia della blockchain è troppo «immatura» per utilizzarla come sistema di pagamento. Le criptovalute vanno bene per fare acquisti illegali sul mercato nero, ma da qui a trasformarle in valuta governativa (come da tempo lascia trapelare la stessa Corea del Nord di Kim) ce ne passa. Davvero la Banca centrale russa sarebbe pronta a “stampare” criptovalute per acquistare armi o finanziare le banche? I dubbi sono legittimi se persino il capo del corporate business di Gazprombank, Alan Waxman, chiarisce che «le criptovalute non rappresentano una risposta in tempi brevi».
Il sospetto che quella sul criptorublo sia solo una mossa squisitamente elettorale è legato anche all’enorme popolarità del Bitcoin in Russia, persino maggiore che in Occidente. In particolare in Siberia, grazie a un costo dell’energia straordinariamente basso, le attività di “mining” di criptovalute abbondano (l’anno scorso solo la “miniera” di Dmitry Marinichev, consulente internet di Putin, pare abbia guadagnato 43 milioni di dollari). Questo non ha impedito alla Banca centrale russa di mettere tutti in guardia su un fenomeno che ha tutti i segni per rivelarsi una colossale «piramide finanziaria» costruita ai danni del piccolo investitore. Un grande schema Ponzi come i tanti proliferati negli anni Novanta, nel completo analfabetismo finanziario dei russi.
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