Le semestrali delle aziende quotate sono state annunciate nelle scorse settimane, ma sembrano già un passato lontano: è l’apparente paradosso di un’epoca accelerata, ossessionata dalla velocità e dalla paura che qualcuno corra più forte. Vietato guardarsi indietro, obbligatorio tenersi pronti a reimpostare le strategie di giorni in giorno. Inutile dire che così il rischio è di non godersi il presente, considerazione che porta pericolosamente vicini alla filosofia.
Diciamo allora che per le aziende quotate l’obbligo a proiettarsi in avanti, dando indicazione se possibile rassicuranti agli stakeholder, non è una novità. Forse non lo è per chiunque prenda sul serio il ruolo di imprenditore o manager. Nella moda si aggiunge la natura del business, che ogni stagione spinge a rinnovare l’offerta. Non è così per eccellenze di altri settori: un produttore di gru o di macchine tessili o, per citare un segmento attiguo alla moda, di mobili, non è tenuto a questa costante distruzione creativa.
Ma torniamo alle semestrali e al loro veloce oblio. Il difficile, in effetti, potrebbe venire da qui a dicembre: incombono focolai di guerre commerciali, la volatilità dei cambi, le variazioni dei flussi turistici e l’instabilità politica globale. In novembre begli Stati Uniti ci sono le elezioni di mid term (metà mandato) per rinnovare il Congresso.
In Europa, incertezze italiane a parte, c’è l’incognita Germania: in ottobre si vota in Baviera, il più ricco dei Laender tedeschi, nonché patria del ministro degli Interni Horst Seehofer, alleato della cancelliera Angela Merkel e allo stesso tempo suo acerrimo critico. Per non parlare delle situazioni esplosive in Sud e Centro America: Argentina, Venezuela e Nicaragua sono alle prese con crisi economiche, sociali e politiche il cui esito nessuno può prevedere.
Torniamo ai numeri allora: qualcosa vogliono pur dire. Nel periodo gennaio-giugno i titoli della moda e del lusso delle Borse di Milano, Parigi Londra, New York, Francoforte e Hong Kong sono andati molto bene, con rare eccezioni. Ricavi e redditività sono stati ottimi per una manciata di aziende; buoni per la maggior parte delle altre, non così positivi per un’altra piccola parte. I marchi italiani “per storia”, anche se oggi di proprietà di gruppi stranieri o di fondi, e quelli italiani al 100%, sono in linea con’andamento generale. Anzi, le sorprese positive sono state molte, come Prada, Aeffe e BasicNet.
Ad aprire la stagione delle semestrali è stato Brunello Cucinelli: i ricavi sono saliti dell’11,9%, in modo omogeneo nei vari mercati e nei canali distributivi. Il 4 settembre il fondatore festeggerà nella sua Solomeo i 40 anni dell’azienda, con un evento che porterà nel piccolo borgo umbro centinaia di clienti, buyer e giornalisti da tutto il mondo. È dalla quotazione del 2012 che l’azienda cresce e da almeno due anni, trimestre dopo trimestre, lo fa a due cifre. Cucinelli non disdegna l’ottimismo (per l’intero esercizio ha “promesso” agli analisti un andamento simile a quello del primo semestre); fa di tutto però per non sedersi sugli allori. Oggi imprenditori, manager e creativi, nella moda e nel lusso e non solo, assomigliano a funamboli: possono camminare in alto, molto in alto, ma lo fanno sempre e comunque su un filo sottile.
Fondamentale l’equilibrio, appunto. Anche per Moncler (+27% i ricavi, +47% l’utile netto): nel semestre sono andati bene tutti i mercati e retail e wholesale sono rimasti ben bilanciati. Ottimo semestre pure per i due gruppi del lusso francesi, Lvmh e Kering, che hanno in portafoglio tanti marchi italiani. Tra i quali, per il primo Fendi, Bulgari e Loro Piana; Gucci e Bottega Veneta per il secondo. Lvmh ha chiuso co ricavi e utile netto in salita rispettivamente del 10% e 41%. Kering ( accade da almeno quattro trimestri) ha lasciato tutti a bocca aperta: +34% i ricavi, +51,3% il risultato netto.
Anche grazie alla “lepre bionica” Gucci, che ha chiuso con vendite a +41% e utile a +62 per cento. Buone notizie, dicevamo, da Prada, primo gruppo italiano o secondo se includiamo Gucci: il semestre si è chiuso con fatturato a +10% e utile netto a +11%.
Non altrettanto bene, tra i leader, Ferragamo e Safilo, grandi aziende che si sono appena affidate a nuovi amministratori delegati, al lavoro su ambiziosi turn-around. Aziende che hanno smesso di crescere, ma che restano molto solide, con indici di redditività (è il caso di Ferragamo) largamente positivi. Lo stesso dicasi di Armani (si veda Il Sole 24 Ore di ieri per i dati dell’esercizio 2017), alle prese con un processo di riorganizzazione dei marchi e della distribuzione, e di Tod’s. Alle spalle dei grandi, corrono le medie aziende: Aeffe (Alberta Ferretti, Philosophy, Moschino) è cresciuta del 15%, con un balzo dell’utile netto del 79%. Percentuali simili per BasicNet (Superga, K-Way, Robe di Kappa, Sebago): +9% il fatturato, +84% il risultato netto.
Guardando ai prossimi mesi, si può dire con ottimismo dettato dalla ragione e non dalla frenesia dei tempi, che le aziende italiane – nessuna esclusa – sono solide e che la maggior parte ha fieno in cascina per affrontare choc esterni. Sperando che nel 2019 si possa – tutti – navigare in acque più tranquille.
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