Esce ai primi di novembre “Il ragazzo più felice del mondo” la commedia spassosa e intelligente del fumettista Gipi, passato ieri nella sezione “Sconfini” della Mostra del cinema di Venezia. Il film sarà nelle sale dai primi di novembre.
Come è nata la storia?
Nel ‘ 97 ricevo una lettera da parte di un ragazzino di 14 anni che sostiene che io sia il suo autore preferito e si diceva
il ragazzo più felice del mondo se io gli avessi mandato un mio disegno via posta. Ad aprile del 2017 scopro che questa persona
ha compiuto la stessa operazione con altri disegnatori per vent'anni con la stessa lettera dello stesso formato. Decido di
farne un documentario, dove cerco questa persona, carico su un bus i fumettisti che lui ama per portarli a casa sua e fargli
passare la giornata più bella della sua vita.
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Lei ha risposto a quella lettera?
No, non ho risposto perché sono pigro, però altri miei colleghi hanno risposto e lui ha mandato anche delle lettere di ringraziamento.
E' un film che parla molto di narcisismo.
E' da anni che mi occupo di narcisismo, è una mia ossessione e ahimè ne sono malato, come tutti ora. Chiaro che chi fa un
mestiere che preveda l'esposizione al pubblico ha una base di narcisismo forte. Viviamo in tempi in cui fotografiamo le nostre
colazioni e le facciamo vedere a degli sconosciuti e lo facciamo nella speranza di avere la loro approvazione. Ed è strano
perché chiediamo approvazione a degli sconosciuti, a delle persone che non sappiamo neppure chi sono. A un certo punto mi
sono detto: questa storia parla di fumetto e di fumettisti e non importerà niente a nessuno; e poi mi sono detto che non era
vero. Perché vivere il giudizio degli altri è una sensazione che appartiene a tutti.
C'è anche un problema di fragilità…
Ed è narcisismo pure quello. Nel momento in cui io ricevo una critica cattivissima da parte di chi non ha letto nulla della
mia produzione e ci rimango malissimo, cosa che mi è accaduta realmente, mi sono chiesto perché questa persona ha bisogno
di far sentire la sua voce. E mi sono detto che è una richiesta di presenza anche quella e forse, se gli artisti la sentono
di più, è perché si espongono più. Io su Twitter faccio satira e ricevo quotidianamente centinaia di messaggi di insulti da
gente che non ho mai incontrato e mai incontrerò in vita mia.
Ne ha sofferto?
All'inizio soffrivo esattamente come racconto nel film, cioè andavo in crisi. Potevo ricevere cento mail dopo l'uscita del
mio libro di cui 99 mi dicevano che era bellissimo e una che diceva “non l'ho letto ma secondo me è brutto” e le altre svanivano
all'istante e rimaneva solo quella. Questa insicurezza mi deriva dall'amore che ho ricevuto in famiglia e che mi diceva che
andavo bene solo quando ero bravo, quel tipo di amore lì ti rende molto fragile all'esposizione.
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