La crisi profonda in Turchia e in Argentina è la punta dell’iceberg delle difficoltà dei mercati emergenti, messi all’angolo dall’aumento dei tassi americani e edal dollaro più forte. L’indice delle valute emergenti è precipitato, perché prima di tutto quella che si sta consumando è una crisi su alcune divise (lira turca e peso argentino in primis) .
Un fulmine a ciel sereno? Decisamente no. Le tensioni che esplodono sui mercati finanziari sono il terminale di un processo che inizia da squilibri fondamentali. E anche questa volta è stata così. Non è un caso che i due paesi più colpiti dalla crisi siano stati Argentina e Turchia, due realtà accomunate da un punto debole: tra gli Emergenti sono i paesi con il più alto deficit delle partite correnti rispetto al Pil. La Thailandia, ad esempio, ha un ampio avanzo delle partite correnti e la sua valuta è più stabile.
«Tra gli indici di vulnerabilità - spiega Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte Sim - oggi il mercato si è concentrato soprattutto sulle partite correnti e sulla dipendenza dall’estero. Più uno Stato dipende dall’estero anche per i flussi di finanziamento e più sei vulnerabile. Questo sbilancio delle partite correnti indebolisce la valuta nazionale e rende più difficile ripagare i debiti, ad esempio in dollari. Si crea un circolo vizioso che stiamo vedendo sia in Argentina, sia in Turchia. In quest’ultimo caso con l’aggravante che il presidente Erdogan ha minato l’indipendenza della banca centrale rendendo meno credibile il paese».
Quando uno Stato ha un deficit nelle partite correnti significa che sta importando più beni e servizi di quanti ne sta esportando e si sta quindi indebitando con altri Paesi. Quando si crea uno squilibrio del genere la valuta locale si indebolisce. Questo dovrebbe favorire la ripresa dell’export e riportare la situazione in equilibrio, ma a volte non basta. La Turchia è un paese che cresce, ad esempio, ma con un’inflazione al 18% ogni sforzo rischia di essere vano.
«Per il 2018 - continua Cesarano - il deficit delle partite correnti stimato dal Fondo monetario per Turchia e Argentina è intorno al 5%. Il prossimo anno è attesa una riduzione per la Turchia, ma evidentemente il mercato non ci crede e se manca la fiducia si inceppano i flussi e il sistema si avvita. A volte non basta neanche agire sulla sola politica monetaria, come ha fatto l’Argentina portando i tassi al 60%».
Al momento non si sta verificando un effetto contagio. «La scorsa settimana - continua Cesarano - non ci sono stati deflussi dai fondi azionari Emergenti, anzi è stato registrato un leggero incremento. Al momento la tensione è concentrata su alcuni paesi, ma altri sono esposti a rischi. Penso al Sud Africa, che è appena entrato in recessione. Il paese è colpito dalle sanzioni minacciate da Trump e anche se ha un deficit delle partite correnti non eccessivo, pari al 3%, potrebbe finire nel mirino della speculazione».
Un altro indicatore molto importante per capire i paesi emergenti è quello del rapporto tra debito corporate e Pil, ovvero quanto le aziende dipendono dai finanziamenti esteri. Eccetto la Cina (con peso molto elevato del debito delle aziende sul totale), la media è intorno al 40%. In un contesto di pesante svalutazione di una divisa nazionale anche una soglia del genere può diventare fattore di tensione sui mercati per le società che devono ripagare i debiti in dollari.
Nel complesso mondo Emergente probabilmente è l’India quella che appare in migliore salute in questo momento. La Borsa è stata premiata da un buon rialzo in estate e mostra un vistosa crescita (sopra al 7%), un buon andamento dell’export, poco sensibile al fattore Cina, e riduce la spesa pubblica oltre ad essere al sesto posto per riserve valutarie al mondo. La rupia si sta indebolendo in linea con le altre divise emergenti, ma senza subire tracolli.
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