La richiesta di ampliamento della villa unifamiliare vicino al mare a Palau viene bocciata ma il Tar, su ricorso del proprietario, annulla gli atti perché, tra le altre cose, le motivazioni sono troppo generiche. La vicenda (sentenza 847/2018) inizia quando il proprietario di una villa unifamiliare a Palau presenta la richiesta della concessione edilizia per un ampliamento del corpo già concesso nel 1965. A corredo della domanda la documentazione necessaria e la relazione paesaggistica. Proprio la relazione dell'istanza paesaggistica viene trasmessa dal Comune al servizio regionale di tutela paesaggistica per la Provincia di Olbia Tempio che chiede integrazioni al proprietario.
Proprio la natura dell'ampliamento e il suo allineamento con l'edificio preesistente è all'origine del diniego e quindi del ricorso. Il 13 dicembre 2012 la Soprintendenza comunica il preavviso di provvedimento negativo (che non viene notificato al proprietario). Il 18 marzo 2013 la determina, firmata dal direttore del Servizio tutela paesaggistica per la Provincia di Olbia-Tempio (assessorato regionale degli Enti locali, Finanze e Urbanistica), con cui si esprime il «diniego dell'autorizzazione ex articolo 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (Dlgs 42/2004) relativa all'ampliamento, ai sensi della legge regionale 4/2009, della villa unifamiliare di proprietà del ricorrente».
Quindi il ricorso. Con la parte ricorrente che «avanza articolate censure di
violazione di legge ed eccesso di potere». «Dalla lettura del progetto presentato dalla ricorrente «il progetto prevede l'ampliamento dell'abitazione con l'aggiunta di una zona notte addossata al corpo principale», in posizione «arretrata per non essere notata dal mare» e «in continuità con l'edificio esistente per non alterare lo stato dei luoghi» - si legge nel dispositivo -. Ciò stante, deve ritenersi generico e inesatto il rilievo dell'Amministrazione secondo cui l'intervento in questione «…..comporta una ulteriore estensione del fronte e quindi della visibilità paesaggistica, anche di quanto già esistente». Tra gli aspetti citati dalla difesa dell'amministrazione regionale il fatto che «la zona interessata presenta dei canali ottici di eccezionale valenza paesaggistica; l'intervento, per essere collocato in posizione non aderente all'edificio esistente non ne migliora, ma anzi ne compromette la qualità architettonica».
Quindi: «Ciò stante, deve ritenersi la fondatezza della censura in esame di difetto di istruttoria». Non solo, per i giudici amministrativi «deve altresì ritenersi la genericità dei motivi di diniego, in particolare nella parte in cui si lamenta un'alterazione dell'equilibrio esistente e la mancata opzione per una maggiore integrazione paesaggistica, per fare in modo che quanto in ampliamento non costituisse un'alterazione allo stato dei luoghi…», trattandosi di motivazioni generiche che non evidenziano specifici, puntuali e circostanziati riferimenti concreti a sostegno della violazione del vincolo paesaggistico e del conseguente assunto secondo cui l'intervento proposto è «incompatibile con l'interesse pubblico tutelato dalla prescrizione vincolistica».
Ricorso accolto, atti impugnati annullati e spese a carico delle amministrazioni regionali e statali condannate al pagamento
delle spese di giudizio (1.500 euro forfettarie per ciascuna amministrazione) e rimborso del contributo unificato.
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