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Il giudice «scavalca» i prefetti sul luogo degli autovelox

Codice della strada

Il giudice «scavalca» i prefetti sul luogo degli autovelox

(Agf)
(Agf)

Il giudice ordinario può disapplicare il decreto prefettizio che autorizza l’installazione di autovelox fissi con controllo da remoto sulle strade extraurbane secondarie e urbane di scorrimento, ma solo per questioni formali. Resta quindi insindacabile la discrezionalità del prefetto nell’individuare i tratti dove il controllo automatico è opportuno, pur sulla base dei requisiti previsti per legge (incidentalità, presenza di curve e pendenze, assenza di spazi per fermare subito i trasgressori). Lo chiariscono due recenti sentenze, depositate il 4 e il 24 ottobre dalla Cassazione. Ma restano situazioni in cui il confine tra le questioni formali e la discrezionalità non è così netto.

Secondo la sentenza 26990/2018, il giudice di pace può valutare se ci sono le caratteristiche “minime” della strada in base alla definizione dal Codice della strada ed eventualmente potrà annullare la multa, disapplicando il provvedimento presupposto (cioè il decreto prefettizio). L’articolo 4 del Dl 121/2002 consente infatti di installare autovelox fissi non presidiati da agenti o comunque di derogare sempre all’obbligo di contestazione immediata dell’infrazione senza neanche motivare nel verbale perché è stata impossibile solo sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali, mentre sulle strade extraurbane secondarie e urbane di scorrimento la scelta dei tratti spetta al prefetto. E spesso si pone il problema di capire se una strada extraurbana ha davvero i requisiti per essere classificata principale e se una urbana sia davvero di scorrimento (senza contare che dalla classificazione deriva anche il limite di velocità fissato su quella strada).

Talvolta l’eventuale illegittimità è evidente: ci sono stati Comuni che non hanno rispettato nemmeno la condizione più semplice per rientrare nella definizione di strada urbana di scorrimento, cioè l’esistenza di carreggiate separate. Nel caso della sentenza 26990, gli incroci a raso non erano tutti semaforizzati come richiede l’articolo 2 del Codice. In casi del genere, la Corte propende per la disapplicazione da parte del giudice.

Ma ci sono altri requisiti che lasciano spazio a interpretazioni. E qui la sentenza 26978/2018 stringe le maglie sui poteri dei giudici di pace, limitando il potere di disapplicazione ai vizi di legittimità. In breve, il giudice può verificare l’iter di emanazione del provvedimento, che passa ad esempio dalla consultazione di Polizia stradale ed ente proprietario della strada, ma rientra nella discrezionalità del prefetto valutare una serie di elementi ulteriori, come le esigenze di traffico o la pericolosità della strada.

Restano però situazioni a cavallo tra la valutazione di legittimità e quella di discrezionalità. Come quelle di strade che hanno i requisiti di extraurbana principale o di urbana di scorrimento solo per un brevissimo tratto (si veda Il Sole 24 Ore del 3 maggio 2016 su una sentenza del Tribunale di Firenze che ammise i controlli automatici anche in una situazione del genere). Sono questioni ancora controverse, da decidere caso per caso.

In quest’ottica, occorre consentire al conducente di esercitare il diritto di difesa. Perciò il verbale deve contenere gli estremi del decreto prefettizio che ha autorizzato l’uso dell’autovelox fisso e la contestazione differita. Il conducente potrà quindi verificarne iter e motivazioni. Lo ha stabilito a chiare lettere la Cassazione con l’ordinanza n. 24214 dello scorso 4 ottobre. Precisando che la mancanza degli estremi non è solo una irregolarità formale ma un vizio di motivazione dell’atto che ne fa scattare la nullità.

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