Punta a sorprendere sempre più Pitti Uomo, la fiera-evento di Firenze diventata riferimento mondiale della moda maschile, che per questa edizione invernale - la numero 95 - sceglie di parlare a compratori, espositori e stampa attraverso un allestimento che “invade” la Fortezza da Basso con sette scatole-contenitori piene, appunto, di sorprese: stili, progetti, esposizioni, idee che vogliono diffondere il messaggio del cambiamento di stagione in stagione.
«Abbiamo guardato Pitti Uomo – spiega Agostino Poletto, direttore generale di Pitti Immagine, società organizzatrice della fiera – come se fosse una grande Surprise Box che serve a tenere insieme momentaneamente cose e idee: è un ordine provvisorio, perché ogni sei mesi la fiera cambia e le scatole vanno svuotate per mettere nuovi contenuti, suggerire nuove interpretazioni, dare nuove sollecitazioni, offrire una geografia nuova».
È un cambiamento cui contribuisce l’offerta fieristica, sempre più internazionale: in questa edizione i marchi esteri che presentano le collezioni per l’autunno-inverno 2019-2020 superano il 46% - sono 567 su 1.230 - e rappresentano la fetta più grossa (il 66%) dei 200 nuovi ingressi, a riprova dell’appeal globale della rassegna che da tempo ha scelto di valorizzare, accanto al made in Italy, la ricerca stilistica che nasce nel resto del mondo.
Ma il cambiamento è un faro che non illumina solo la fiera. Anche i mercati di sbocco dell’industria italiana della moda maschile sono in movimento, per nulla intimoriti (per ora) dai venti della Brexit, anzi: se il trend dei primi nove mesi dovesse continuare, il 2018 potrebbe chiudersi con un clamoroso sorpasso del Regno Unito sulla Germania al vertice della classifica dei clienti esteri. Nei primi nove mesi dell’anno scorso i tedeschi hanno comprato moda maschile italiana per 511 milioni (+3,5%), mentre gli inglesi hanno spiccato un balzo dell’8,1% toccando i 491 milioni di euro.
L’Europa assorbe ancora il 52% delle vendite italiane di moda maschile; il resto arriva dai Paesi extraUe con gli Stati Uniti che continuano a crescere (+2,8% nei primi nove mesi 2018) e la Cina superstar (+27,7%), salita all’ottavo posto per importanza dietro Hong Kong (+3,6%): se considerati insieme, Cina e Hong Kong sono già nel gruppo di testa dei clienti esteri.
Nel complesso l’export dell’industria italiana della moda maschile (abiti, maglieria, camicie, cravatte e abbigliamento in pelle) nel 2018 ha continuato a marciare rafforzando il ruolo di traino. È solo grazie alle vendite estere, cresciute del 3,9% secondo le stime preliminari di Confindustria Moda, che il settore ha chiuso l’anno con una moderata crescita: +1,5% il fatturato arrivato a sfiorare i 9,5 miliardi di euro. Male è andato invece il mercato interno (-4,6% la stima sui consumi finali 2018), che non accenna a riprendersi. Il risultato di queste dinamiche è che il peso dell’export sul fatturato è cresciuto ancora, dal 65% del 2017 al 67% del 2018, livello che nessun altro comparto-moda può vantare.
A preoccupare gli operatori è ora il rallentamento dell’export, che si è cominciato a sentire negli ultimi mesi (tra gennaio e settembre 2018 la crescita era stata +5%), soprattutto in alcuni Paesi che generano qualche timore: in testa la Russia, ma anche la Francia messa in crisi da attentati e gilet gialli, e il Regno Unito alle prese con la Brexit. A consolare è il fatto che il commercio mondiale quest’anno è stimato in crescita del 3,5-4%.
Il “barometro” imprenditoriale per adesso segna stagnazione più che allarme: il campione di aziende di moda maschile intervistate da Confindustria Moda indica per il 2019 una stabilità delle condizioni congiunturali e uno scarso dinamismo nella raccolta ordini per la prossima primavera-estate. Pitti Uomo, con la sua carica di nuovi progetti e stimoli, e con i suoi 25mila compratori attesi da 100 Paesi del mondo, punta a dare una spinta al mercato.
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