Sono oltre 550mila le assunzioni con contratto intermittente realizzate da gennaio a novembre del 2018, in crescita del 7,7% rispetto allo stesso periodo del 2017. Una formula contrattuale sempre più gettonata dalle imprese - stando agli ultimi dati pubblicati dall’Inps - che la utilizzano per assumere lavoratori da dedicare ad attività sporadiche e temporanee. E che ha preso slancio nel 2017 dopo l’abrogazione dei vecchi voucher per il lavoro accessorio, passando dai poco più di duecentomila del 2016 a oltre 565mila dell’anno successivo.
La disciplina del contratto di lavoro intermittente (o a chiamata, il cosiddetto job on call)non ha subito cambiamenti rispetto a quanto previsto dal Jobs act nel 2015 (articolo 13 del Dlgs 81/2015). L’assunzione può avvenire sia a tempo indeterminato, sia a termine, con la possibilità di chiamare e retribuire il lavoratore solo per i giorni e negli orari in cui è necessaria la sua prestazione.
Attenzione ai paletti
Ma ci sono una serie di paletti. In primo luogo l’età. I contratti di lavoro a chiamata, senza limitazioni sull’attività di impiego, possono infatti essere stipulati con due categorie di soggetti:
giovani di età inferiore a 24 anni, purché la prestazione si esaurisca entro il venticinquesimo anno di età (quindi, stipulando solo rapporti di lavoro a termine);
soggetti di età superiore a cinquantacinque anni, anche pensionati.
In base a questi criteri, dunque, “licenziare” un giovane assunto a chiamata al compimento dei 25 anni non è discriminazione del lavoratore. Lo ha confermato di recente la Corte di appello di Milano sul caso Abercrombie&Fitch, che, dopo aver assunto un giovane nel 2010 con contratto di lavoro intermittente a tempo determinato, aveva interrotto il contratto nel 2012 al compimento dei 25 anni del ragazzo. Sul ricorso di quest’ultimo sono intervenuti anche i giudici europei - il 19 luglio 2017 - stabilendo che la legge italiana non contrasta con il diritto dell'Unione e, in particolare, con la Carta dei diritti fondamentali e con la direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000.
Non si applica nessun limite di età, invece,nel caso di attività lavorative di carattere discontinuo o intermittente individuate dai contratti collettivi oppure comprese tra le attività elencate nella tabella approvata con il regio decreto 2657/1923.
Un altro paletto riguarda la durata dell’attività di lavoro svolta, che non può superare le 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari. Il datore deve inoltre ricordarsi di comunicare l’inizio di ogni prestazione all’ispettorato del Lavoro, come spiegato nelle pagine successive.
I settori del job on call
Ma dove si concentrano i lavoratori a chiamata? Secondo l’Istat, il 60% è all’opera tra alberghi e ristoranti, mentre la restante quota si divide tra istruzione, sanità, servizi sociali e personali e commercio. Le imprese ricorrono al contratto di lavoro intermittente soprattutto per assumere operai, mentre i dipendenti a chiamata inquadrati come impiegati costituiscono una quota significativa (uno su tre) solo nel settore del commercio.
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