Fu un commando di sicari venuti dalla Sicilia a compiere l'agguato in cui, il 9 agosto del 1991, morì il magistrato della Corte di Cassazione Antonino Scopelliti. Un delitto che suggellò, forse per la prima volta, un patto d'acciaio tra la mafia siciliana e la 'ndrangheta calabrese che acconsentì a che l'omicidio fosse compiuto sulproprio territorio, a Villa San Giovanni.
L’omicidio del magistrato di Cassazione Antonino Scopelliti venne deciso in un summit mafioso svoltosi nella primavera del 1991 a Trapani cui partecipò Matteo Messina Denaro. Lo avrebbe
detto il pentito catanese Maurizio Avola al procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo che coordina la nuova
inchiesta sul delitto.
Il movente
Sarebbe stato preso in quell'occasione l'accordo tra Cosa nostra e 'ndrangheta per l'uccisione del magistrato di Cassazione
che avrebbe dovuto sostenere l'accusa nel maxiprocesso alla mafia.
Pochi mesi dopo, il 9 agosto 1991 in località “Piale” di Villa San Giovanni mentre Scopelliti faceva rientro a Campo Calabro dove era nato e dove trascorreva le vacanze, un commando composto da siciliani e calabresi entrò in azione uccidendolo.
La credibilità del collaboratore di giustizia
Nell'agosto scorso il pentito Maurizio Avola ha fatto ritrovare il fucile calibro 12 che sarebbe stato utilizzato per uccidere
Scopelliti - oltre a cartucce, un borsone e due buste - che sarebbe stato usato nell'agguato. L’arma era nascosta nel catanese.
Nonostante ciò va anche considerato che Avola, “sicario” della famiglia Santapola, pur avendo iniziato a collaborare con gli
inquirenti siciliani nel 1994 solo recentemente avrebbe iniziato a parlare con i magistrati calabresi. L'uomo ha già confessato poco meno di un centinaio di omicidi, fra cui quello del giornalista Giuseppe Fava.
Il riscontro
Del “favore” ha parlato recentemente anche un altro collaboratore di giustizia, Francesco Onorato, sentito nell'ambito del
processo “'ndrangheta stragista”.
Scopelliti ucciso il 9 agosto 1991
La Procura distrettuale di Reggio Calabria ha indagato 17 tra boss e affiliati a cosche mafiose e di 'ndrangheta in relazione
all'omicidio del sostituto procuratore generale della Corte di cassazione Antonino Scopelliti, ucciso il 9 agosto del 1991
in località “Piale” di Villa San Giovanni mentre faceva rientro a Campo Calabro.
Indagati sette siciliani...
Tra gli indagati figura anche il boss latitante Mattia Messina Denaro. La notizia, pubblicata da Repubblica, è stata confermata all'Ansa dal procuratore di Reggio Giovanni Bombardieri. Ecco gli altri siciliani sono i catanesi Marcello D'Agata, Aldo Ercolano, Eugenio Galea, Vincenzo Salvatore Santapaola,
Francesco Romeo e Maurizio Avola
...e dieci calabresi
Sono Giuseppe Piromalli, Giovanni e Paquale Tegano, Antonino Pesce, Giorgio De Stefano, Vincenzo Zito, Pasquale e Vincenzo
Bertuca, Santo Araniti e Gino Molinetti.
Un delitto senza colpevoli
Per l’uccisione di Scopelliti ancora non è stato individuato nessun colpevole: solo due processi alla commissione regionale
di Cosa nostra, finiti con l'assoluzione in Corte d’appello. Alla sbarra erano finiti boss del calibro di Totò Riina, Bernardo
Provenzano, Giuseppe Calò, Bernardo Brusca, Nitto Santapaola ed i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano sotto processo nel
'94 e nel '98 ma furono assolti in via definitiva dall’accusa di avere svolto un ruolo nell’assassinio.
La dichiarazione della figlia del magistrato
A commentare la notizia del possibile coinvolgimento di Cosa Nostra nell'omicidio del giudice Scopelliti è la figlia Rosanna: “Con le dichiarazioni del pentito Maurizio Avola incomincia a prendere finalmente forma la verità ancora nascosta dietro
l'omicidio di mio padre. Mafia e ‘ndrangheta si erano messe d’accordo per ucciderlo. È evidente che l’omicidio di mio padre
scavalchi i confini calabresi e interessi tutto il Paese. Adesso però - aggiunge Rosanna Scopelliti - è necessario che i giornalisti
e i media nazionali facciano la loro parte. Che i cittadini, le associazioni, le istituzioni incomincino a dare la giusta
attenzione a quello che avverrà nelle aule, se tutto questo, come mi auguro, porterà a un processo. Solo così lo Stato, soprattutto
nel Mezzogiorno, ne uscirà più forte».
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