Spettacolare presenza nei giorni scorsi dei più grandi galleristi e antiquari europei, con sciami di mercanti e collezionisti provenienti da ogni dove, per ammirare, scoprire e tastare il polso del mercato a TEFAF, nella cittadina di Maastricht, in Olanda, ove nel 1992 fu firmato il Trattato europeo tra i primi dodici Paesi. Qui tutto costa molto caro, ma la qualità è altissima. Ciò nonostante siamo lontani anni luce dai valori che raggiungono, nelle più grandi aste del mondo, da Sotheby’s a Christie’s, le opere d'arte contemporanea: loro sì attraversano un’età dell’oro, con scambi da 10 a 50 volte superiori ai capolavori del passato esposti a Maastricht. Valori, intrinsecamente non paragonabili - in termini di contenuto e certezza sul mantenimento futuro - rispetto a quelli assodati dell’antico. Ad eccezione del “Salvator mundi”, acquisito in quel dell’Arabia come Leonardo per quasi 500 milioni, il record assoluto. E ci sarebbe tanto da dire.
C’è qualcosa che non funziona, su cui si è scritto di tutto, dal celebre pamphlet di Jean Clair del 1985 ai tanti contributi di Germano Celant, entrambi grandi conoscitori dell’arte, dal ‘900 all’oggi. Negli ultimi anni, l’inflazione è sparita in ogni dove eccetto che per i beni destinati ad essere acquistati dai super ricchi (yacht, Ferrari d’epoca, ville extra-super lusso) e tutto quello che richiede occhio, cultura e sensibilità per il bello è rimasto da anni al palo o ha segnato crescite modeste. Il diavolo sa perché. Il buon senso farebbe dire che per la legge dei vasi comunicanti le opere del passato dovrebbero essere destinate ad avvicinarsi a un valore mediale, rispetto alla produzione artistica dell’oggi. Tra l’”essere” del bello antico e quell’”apparire” tipico del contemporaneo (acquistato senza comprenderlo). Ahimè, già per la prossima edizione di Maastricht c’è chi pensa di dare molto più spazio all’oggi.
Omnia cum tempore, come suggerisce l’Ecclesiaste.
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