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Dossier Innovazione, investimenti, M&A: il design cerca la svolta

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    Dossier | N. 16 articoli Le sfide del design

    Innovazione, investimenti, M&A: il design cerca la svolta

    (Foto: Salonemilano.it, Luciano Pascali)
    (Foto: Salonemilano.it, Luciano Pascali)

    Condannati a innovare. Questa “maledizione”, che accomuna tutti i settori produttivi della manifattura italiana, sembra tanto più vera per un comparto come quello dell’arredo-design, che della creatività, dell’ingegno e dell’innovazione ha fatto il suo biglietto da visita nel mondo.

    Sarà anche per questo che, nonostante il rallentamento dell’economia globale e in particolare di quella italiana, le quasi 30mila imprese del settore hanno chiuso il 2018 con un incremento della produzione incoraggiante (+1,9%, dati forniti dal Centro studi di FederlegnoArredo), che conferma la ripresa avviata nel 2015.

    «Innovare», ovviamente, significa tante cose. Significa innanzitutto investire in ricerca e sviluppo per ideare forme inedite e trovare nuovi materiali da utilizzare, più performanti, possibilmente ecosostenibili e funzionali alle esigenze di una società in continua evoluzione. Certo, non siamo ai livelli di settori come la farmaceutica o la meccanica, ma le aziende dell’arredo si difendono bene: secondo una recente indagine di FederlegnoArredo tra gli associati, il 65% delle imprese ha investito in R&S nell’ultimo anno e una quota analoga intende farlo anche nel 2019. Nel 2018, nell’intera filiera legno-arredo c’è stato un aumento degli investimenti nell’ammodernamento dei processi produttivi, passati dal 2% circa del fatturato nel 2017 al 4,2%, grazie soprattutto alla spinta degli incentivi legati a Industria 4.0.

    Innovare significa però anche trasformare la propria governance, evolvere il modello societario, creare sinergie con altre imprese per aumentare la propria competitività. Significa investire su mercati nuovi, sulla costruzione e comunicazione del proprio brand, oltre che sui modelli di distribuzione più adeguati ai diversi scenari. Su questo fronte non si può dire che le aziende dell’arredo-design italiano siano particolarmente dinamiche, anche se negli ultimi anni sono stati fatti passi avanti.

    Di tutte queste istanze sarà specchio e insieme motore il Salone del Mobile di Milano che inaugura questa mattina con oltre 2.800 espositori (compresi i giovani designer del SaloneSatellite) in fiera a Rho fino a domenica prossima. Sì, perché la manifestazione non si limiterà a mettere in mostra, come ogni anno, le ultime novità in termini di creatività e prodotto, ideate dalle aziende italiane ed estere (che rappresentano il 24% del totale espositori), ma rappresenterà anche materialmente, attraverso l’innovazione di alcuni format, le grandi trasformazioni industriali e commerciali in atto nel settore dell’arredamento. A cominciare da quelle che interessano il mondo del lavoro e quindi dei mobili per l’ufficio, che avranno perciò una nuova collocazione all’interno del Salone, fino all’attenzione crescente, da parte delle aziende, per l’ideazione di soluzioni progettuali, più che per i singoli prodotti, un trend ben rappresentato nel nuovo spazio «S.Project».

    Un altro fenomeno di grande attualità – in qualche modo rispecchiato al Salone attraverso la partecipazione collettiva, in singole location di grandi dimensioni, di alcuni grandi gruppi che comprendono nel proprio portafoglio diverse società e brand – è il crescente numero di aggregazioni e fusioni che sta interessando il settore. Secondo un recente studio condotto da PwC sui trend di M&A (fusioni e acquisizioni) nel mercato dei beni di consumo in Italia, il comparto dell’arredo-design è stato uno dei più attivi nel 2018 (secondo solo al Food), con 29 operazioni contro le 18 dell’anno precedente, che hanno visto protagonisti gli investitori finanziari, decisivi in 22 accordi. Tutti gli osservatori concordano nel ritenere che la tendenza sia solo all’inizio.

    L’obiettivo principale di queste manovre è infatti aumentare la massa critica di aziende che, sebbene eccellenti nella produzione e riconosciute a livello internazionale, rischiano di essere poco competitive su un mercato divenuto ormai globale, a causa delle ridotte dimensioni societarie e dunque della limitata disponibilità di capitali. Soltanto poche decine di aziende superano infatti i 100 milioni di fatturato, in genere proprio grazie al consolidamento di più società all’interno di uno stesso gruppo, mentre la stragrande maggioranza non raggiunge i 10 milioni di euro.

    È vero: il made in Italy nel mondo può spendere la carta della sua rinomata tradizione, del design, della funzionalità e dell’innovazione, con un forte accento sull’aspetto «lifestyle» dei propri marchi e giocando la partita sul segmento medio-alto del mercato o del lusso. Secondo uno studio di Intesa Sanpaolo, l’Italia è il terzo esportatore mondiale di mobili nell’alto di gamma – dietro Germania e Cina – e il quarto settore della manifattura italiana per avanzo commerciale, con un saldo positivo per 7,6 miliardi di euro.

    Ma la competizione internazionale è feroce e i capitali richiesti per affrontarla moltissimi. Una partita non rimandabile, perché è oltreconfine che occorre guardare per crescere: già oggi le esportazioni rappresentano il 53% del fatturato complessivo del comparto (27,4 miliardi di euro) e tale quota è destinata ad aumentare ulteriormente, con un peso crescente rappresentato dai mercati più lontani e complessi, come gli Stati Uniti e la Cina, ma anche i Paesi emergenti del Sud-Est asiatico e dell’Africa.

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