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Dossier «Less is more interpreta il nuovo scenario»

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    Dossier | N. 16 articoli Le sfide del design

    «Less is more interpreta il nuovo scenario»

    «Il less is more di Mies van Der Rohe interpreta bene il nuovo scenario che sarà il nostro prossimo futuro». A parlare è Nicola Gallizia, architetto e designer milanese.

    Silhouette precise, linee che descrivono forme geometriche essenziali. In questa edizione del Salone del Mobile di Milano è il progetto a essere protagonista. Che cosa pensa di questa tendenza?

    È figlia secondo me della nuova esigenza dell’abitare, più informale, più autodeterminato. Oggi c’è più consapevolezza e cultura, siamo tutti più informati, perciò chi fa un progetto, sia in autonomia sia con l’aiuto di un professionista, è molto più preparato, sa quello che vuole e vorrebbe raccontare la sua storia, rappresentare il proprio stile. Così il less is more diventa un vassoio su cui poi ognuno può raccogliere i propri argomenti. La casa è un contenitore volumetricamente più neutro dove sono le superfici ad essere importanti trasformandosi in elemento decorativo. È proprio la lezione di Mies van der Rohe, che portava l’austerità dei volumi all’estremo e poi faceva delle pareti di onice, passando dal minimalismo più spinto alla decorazione più eclatante.

    Per Porro presenta una nuova poltrona, Lullaby, un omaggio al Bauhaus. Come pensa possano essere attualizzati i principi della scuola di Gropius?

    Less is more è stata proprio una delle frasi chiave del Bauhaus, una sintesi di quella grande stagione. Questo mio progetto vuole essere un omaggio, non solo perché ricorre il centenario, ma perché quegli insegnamenti fanno parte del mio percorso progettuale, una ricerca costante del punto di congruenza tra forma e funzione. Ne è nata così una poltrona piccola, ma confortevole, un oggetto giocoso, ma utile.

    Wallpaper Magazine ha incoronato Milano come “città dell’anno 2019”. Lei cita spesso lo stile milanese come fonte d’ispirazione. Ancora una volta parliamo di rigore e sobrietà progettuale.

    Tra le motivazioni che hanno contribuito alla designazione di Milano c’è anche l’hotel Viu, di cui ho curato gli interni. Sono particolarmente orgoglioso di aver contribuito a questa scelta perché questo progetto è nato proprio come omaggio a Milano e alle radici del design, una citazione della tradizione milanese, dalla più classica (i pavimenti ricordano quelli di seminato della Scala) a episodi come Villa Necchi di Portaluppi, le case di Gio Ponti e quelle di Gardella. Ho voluto mostrare cose che Milano, nella sua austerità, ha tenuto un po’ nascoste.

    A chi guarda con interesse in occasione del Salone?

    Mi interessa particolarmente la reinvenzione della decorazione, perché questo nuovo stile ha tanta decorazione che è fatta di superfici, di materie, di dettagli, ma molto ricchi di progetto. Non è un minimalismo povero, ma estremamente sofisticato. Oggi io guardo a chi progetta con questa mentalità, ma con uno stile contemporaneo. Chi emergerà sono personaggi che vengono da questo mondo e che lo stanno rivisitando con un’attitudine contemporanea. Tra i tanti, apprezzo il lavoro del designer francese Christophe Delcourt.

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