Quante ne avremo sentite dopo la famigerata notte del 15 aprile? È morto il simbolo della cristianità occidentale. È morta l’Europa. Anzi, no: è morto l’europeismo. Abbiamo perso per sempre lo spirito di Parigi, la pietra dello scandalo dei rivoluzionari francesi, la fonte d’ispirazione di tanta, troppa arte: da Victor Hugo che univa tutti al divisionista Maximilien Luce. E il Gobbo di Disney, il musicarello di Cocciante dove li vogliamo mettere? L’incendio sviluppatosi sul tetto della cattedrale di Notre-Dame andrebbe studiato perbene, ma da un fine teorico delle dinamiche della comunicazione, un McLuhan redivivo. In pochi altri precedenti abbiamo infatti visto la realtà dei fatti sacrificata alla narrazione con tanta disinvoltura. Parte il rogo e sul web, in Tv, per radio e sui giornali che succede? Te lo raccontano come il nuovo 11 settembre, un’altra alluvione di Firenze, tra secchi di retorica e luoghi comuni esplosivi. Vai col lutto di Francia, le collette da 700 milioni, i parigini in lacrime sul Lungosenna. Eppure è stato qualcosa di diverso, riconducibile a negligenza e imperizia: si dà il caso che Notre-Dame non solo non aveva un sistema anti-incendio moderno, ma non era neanche assicurata. Roba che manco l’incendio della Fenice di Venezia o il crollo della Schola Armatorum a Pompei, storiaccia per la quale l’Unesco minacciò di cacciare l’area archeologica dal Patrimonio dell’umanità. Qualcosa di italiano, troppo italiano per i cugini d’Oltralpe. Ai francesi però nessuno tira le orecchie. Loro si sa che ragionano come l’altra Notre-Dame, Édith Piaf: «Je ne regrette rien».
(Modesto Michelangelo Scrofeo)
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