Con copyright Giulio Tremonti («Le tre profezie», ora in libreria) viene rievocata la previsione del Faust di Goethe sul potere mefistofelico del denaro e del mondo digitale, accostata al razionale pessimismo di Leopardi, quanto alla crisi della nostra civiltà, destinata a divenire sempre più cosmopolita. Abitiamo un mondo in cui il dio denaro la fa franca, determinando le scelte del Teatro alla Scala piuttosto che quelle del mercato dell’arte contemporanea: il burattinaio è sempre lui, il marketing. Onnipresente.
Mentre “pari passu” assistiamo all’uso-abuso di quello che certamente potrebbe essere incoronato come l’ottava meraviglia del mondo, lo smartphone. Che ci ha resi operativi H 24. Cioè molto più dello sbandierato “996”, ossia il lavoro dalle 9 alle 21 per 6 giorni alla settimana, come si usa nell’Alibaba di Jack Ma. Pari a 72 ore settimanali, rispetto alle nostre 40 o alle sole 35 dei francesi (che a ben vedere, grazie non solo alla tecnologia di oggi, possono anche avere un senso). Ma lo smartphone schiavizza soprattutto i nostri figli, sempre più a rischio della sindrome di Hikikomori, quella dello star da soli, isolati in una stanza chiusa. Seppure sempre connessi con Facebook, Instagram, coi gruppi di Whatsapp o con Snapchat che si autoelimina in automatico. Andando persino di là dei dubbi di Montaigne o dell’orizzonte nero di Nietzsche, quando presagiva un mondo al crepuscolo.
Troppo brusco il passaggio dalle epistole scritte col pennino agli sms, ai tweet di Trump. Un plauso a Selvaggia Lucarelli, per il racconto sul «Fatto Quotidiano» dell’uso compulsivo del telefonino, da parte dei bambini. In linea con Papa Francesco, che lo stigmatizza «per i contatti, invece che per la comunicazione», definendolo una droga. Così siamo passati da Homer dei Simpson’s a Spock di Star Trek, dal mondo di «Alice nel paese delle meraviglie» a un immaginario virtuale che diventa realtà. Cyberbullismo oppure - ricordate Asimov? - «Ragazze per il dio limaccioso».
Quanto mancano figure vibranti, come il Don Milani rivissuto nel «Vangelo secondo Lorenzo»: in trionfo al Franco Parenti di Milano, dopo un viaggio con 70 repliche.
Per aspera ad astra.
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