La spagnola Santander mette sul piatto 20 miliardi di euro per la sua trasformazione digitale, una cifra che è quasi quattro volte quella che l’intero sistema bancario italiano investirà negli stessi quattro anni, se non cambierà marcia. È solo l’ultima tra le grandi banche globali che ha deciso di attrezzarsi per una trasformazione digitale che diventa vitale per il futuro dei servizi finanziari. Al centro c’è sempre di più il cliente con le sue esigenze, attorno al quale dovranno essere costruiti servizi tagliati su misura, offerti nel momento e nel luogo in cui ne ha bisogno. «La trasformazione digitale agisce sui processi operativi e sui processi distributivi della banca - osserva Marco Giorgino, direttore scientifico dell’Osservatorio Fintech del Politecnico di Milano -. Tra le priorità metterei innanzitutto il recupero di efficienza dei processi operativi, ossia fare le cose meglio e a costi più contenuti, l’abbattimento del cost-to-serve, ossia rendere meno oneroso servire i clienti, e il miglioramento della relazione con il mercato, ossia conoscere meglio e soddisfare la propria clientela dopo averne compreso in modo molto più completo e puntuale i bisogni».
Negli ultimi decenni la trasformazione digitale in banca si è concretizzata troppo spesso in un semplice passaggio dal fisico al digitale dei servizi offerti, ma ora non basta più. Anzi, limitandosi a offrire prodotti vecchi con strumenti nuovi, gli istituti rischiano di fallire completamente la transizione. E di essere superati agilmente dai nuovi attori, forse più Big tech che non le startup del fintech: «Il rischio concreto è che diventino semplici “fabbriche di finanza”, fornitori di servizi a basso valore aggiunto.
Se invece riescono a mantenere il controllo sulla relazione con il cliente, potranno garantirsi un ruolo da protagonisti», afferma Corrado Panzeri, responsabile InnoTech Hub di The European House-Ambrosetti, che ha recentemente curato un rapporto sulla “Banche del futuro”, indicando proprio come dovranno trasformarsi in tech companies, soprattutto dal punto di vista della strategia. Prima l’asset strategico era la rete fisica delle filiali, che oggi, in una “intangible rich economy” in cui si investe più in beni immateriali che fisici, si trasformano in un pesante fardello per il sistema bancario, al pari dei vecchi sistemi It, chiusi e poco flessibili.
Soggetto abilitante
Il vero asset strategico in banca diventa la tecnologia, che può trasformarsi in un valore enorme al servizio dell’utente, ma anche dei dipendenti che potranno riappropriarsi di un ruolo che la tecnologia gli sta sfilando di mano. «In ambito retail - sottolinea Andrea Monti, Senior VP Head of Banking di Ntt Data Italia - la tecnologia induce un utilizzo sempre più trasparente delle funzionalità tradizionali, con la banca che diventa un soggetto fornitore quasi invisibile e il focus che si sposta sull’erogazione di servizi più che sulla fornitura di prodotti. Ci sono tutti i presupposti perché la banca possa trasformarsi nel soggetto abilitante di tutti i servizi, finanziari, ma non solo quelli: il fattore decisivo sarà proprio la capacità degli istituti di avere un’offerta di servizi integrati con accesso unico, garantito dalla sicurezza». «L’offerta di nuovi servizi ha un ruolo cruciale - conferma Giorgino -: devono essere costruiti su misura per ogni singolo cliente, facilmente fruibili, con un rapporto costo/valore equilibrato, con un alto grado di sicurezza».
La stessa impostazione vale ancora di più con le aziende, ben disposte a pagare per servizi che effettivamente diano un valore aggiunto in termini di velocità, efficienza, informazione. «Nel campo corporate - prosegue Monti - la banca deve saper capitalizzare le conoscenze e le competenze dei propri dipendenti per offrire servizi che diano valore all’impresa, costruendo scenari in maniera attiva in grado di offrire supporto in termini di progettazione e pianificazione. Così la banca si trasforma in vero stakeholder, in partner dell’azienda». Se prima erano gli utenti a recarsi presso la filiale, oggi è la banca che deve sapersi attivare passando a un ruolo “push”, attivo nel costruire servizi e scenari.
Un asset nascosto
In quest’ottica diventa cruciale la capacità di mappare ed estrarre senso dall’enorme massa di dati comportamentali che gli istituti di credito hanno in pancia e che fino a oggi non hanno saputo valorizzare. E che ora, complice anche l’arrivo della direttiva europea Psd2, fanno gola a molti altri player. «Tutti noi siamo ormai abituati agli standard elevatissimi forniti da soggetti come Amazon, Apple e la stessa Google - prosegue Panzeri -. Qualunque servizio che non si avvicini a questi standard di user experience ha in sé un elemento di insoddisfazione ed è, quindi, potenzialmente foriero di cambiamento. Per arrivare a questi standard, oltre alla parte d’interfaccia, c’è la componente della valorizzazione dei dati e, quindi, un’offerta dinamica e iper-personalizzata, di cui talvolta non abbiamo nemmeno cognizione».
La capacità di data analytics diventa quindi cruciale per comprendere le esigenze reali dell’utente, privato o impresa che sia, anche se poi le startegie sono differenti. Solo trasformandosi in soggetto abilitante di tutti i servizi, anche non strettamente finanziari, la banca potrà riuscire a salvaguardare un suo ruolo, preservandolo dalle insidie di tanti nuovi player attratti da un abbassamento delle barriere all’accesso che il digitale abilita anche in questo settore. Anche se poi rimangono, più solidi, i paletti regolamentari.
L’accesso unico a tutti i servizi abilitati, anche di terze parti in un’ottica di “open banking”, potrebbe diventare davvero il fattore vincente per il comparto. Chiamato comunque a fare i conti con interfacce in continua evoluzione. Oggi gli smartphone in mobilità che hanno preso il posto della filiale. Ma che domani saranno sempre più interfacce vocali, con modalità di interazione decisamente più naturale per l’umano, con assistenti virtuali modello Alexa di Amazon o Google Assistant.
Il collante di fondo che tiene insieme le diverse tecnologie è il design, in grado di guidare l’interazione dell’utente in maniera semplice ed efficace con l’applicazione. «In questa logica - conclude Monti di Ntt Data - non può sorprendere che abbiamo iniziato ad assumere voice designer, dedicati proprio al ripensamento dei processi sulla base della modalità vocale».
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