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Mps, le richieste del pm dopo un’inchiesta lunga 6 anni

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le richieste dell’accusa

Mps, le richieste del pm dopo un’inchiesta lunga 6 anni

(Imagoeconomica)
(Imagoeconomica)

I pm del caso Monte dei paschi di Siena hanno avanzato le loro richieste: la condanna dell’ex presidente Giuseppe Mussari, dell’ex dg Antonio Vigni e dell’ex direttore finanziario Gianluca Baldassarri rispettivamente a 8 anni e 4 milioni di multa per i primi due e a 6 anni e 1,5 milioni di multa per il terzo.

Il processo a 16 imputati, con al centro le operazioni ritenute illecite dai nomi esotici (Santorini e Alexandria, Fresh e Chianti Classico) svelate dagli inquirenti di Siena nel 2013, si sta incamminando verso la fine, almeno per quanto riguarda il primo grado. L’accusa a vario titolo è l’aggiotaggio e il falso in prospetto. La sentenza è attesa per il prossimo autunno. È stata chiesta anche la condanna di Nomura e di Deutsche Bank AG, mentre invece è stata chiesta l’assoluzione di due manager della banca tedesca e della
sua filiale londinese.

Per Mussari e Vigni, i due nomi più noti dell’inchiesta, il processo è dunque alle battute finali. Per loro l’accusa è di aver realizzato nel 2008 un fittizio aumento di capitale finalizzato all’acquisto di Banca Antonveneta. Acquisto che poi, complice la crisi finanziaria degli anni successivi, ha drenato liquidità alla banca portandola di fatto al fallimento tecnico.

L’acquisto, sulla carta pari a 9 miliardi, ha presentato un conto ben più salato negli anni successivi, pari a 17 miliardi, considerando che la banca padovana aveva in pancia altri 8 miliardi di crediti inesigibili, di cui peraltro gli ex vertici del Monte non ebbero contezza in quanto l’operazione fu chiusa in fretta e senza due diligence. La decisione dell’acquisizione, dal punto di vista strettamente penale, non è però oggetto d’indagine, ma attiene al campo delle responsabilità manageriali.

Si è molto parlato in questi sei anni anche di volontà politiche da eseguire, in particolare quella di riportare Antonveneta in Italia, uscita dal controllo italiano e poi passata di mano dall’olandese Abn Amro alla spagnala Santander nel 2005, l’epoca delle grandi scalate bancarie. Sullo sfondo è sempre rimasta la suggestione che Mussari si sarebbe prestato a tale operazione per fare carriera ai vertici dell’Abi.

Era stata anche ipotizzata, nel racconto mediatico, l’esistenza di pagamenti occulti girati al mondo del centrosinistra, immaginati per il fatto che storicamente Siena era in mano al Partito democratico (all’epoca Ds), il quale tramite la Fondazione Mps esercitava il controllo della banca. Ipotesi mai supportata da fatti.

Stando agli atti dell’inchiesta, e al lavoro svolto dal Nucleo di polizia giudiziaria della Gdf, l’accusa è però di aver mentito al mercato sulla ricapitalizzazione, svolta con lo strumento ibrido Fresh, non classificabile dunque come un vero e proprio aumento di capitale da un miliardo (e sottoscritto per circa 500 milioni dalla Fondazione Mps, all’epoca azionista di maggioranza, che evidentemente non voleva perdere il controllo dell’istituto bancario).

Al dossier sul Fresh la procura di Milano, dove l’inchiesta è stata trasferita due anni dopo, ha deciso di unire anche quelli relativi agli altri strumenti derivati, Santorini e Alexandria, sottoscritti rispettivamente con Deutsche Bank e  Nomura. Infine si è aggiunto il Chianti Classico. Questi strumenti derivati avevano come scopo quello di camuffare i conti, secondo gli inquirenti, negli anni successivi all’acquisto di Antonveneta, così da non mostrare le perdite. Ovviamente non a costo zero, ma indebitando ulteriormente la banca. Si contava, nel 2013, che Santorini avesse causato perdite per 700 milioni, e Alexandria circa 500. Poi entrambe le operazioni sono state chiuse con un accordo al tribunale delle Imprese di Firenze, grazie al quale Mps ha recuperato centinaia di milioni.

Per tutte queste operazioni si parla dunque di aggiotaggio e la richiesta di pena a 8 anni per Mussari e Vigni era attesa. Si aggiunge nel processo milanese la figura di Baldassarri, all’epoca capo del settore finanziario di Mps. Oltre queste operazioni, ne avrebbe dirette altre, secondo l’accusa, da cui avrebbe tratto un profitto personale illecito, con tanto di società off shore oltre oceano. Questo capitolo della vicenda è ancora ancorato a Siena.

Lui e i suoi presunti “sodali”, tra cui consulenti esterni alla banca, venivano chiamati “la banda del 5%”, nome evocativo per indicare la percentuale che trattenevano dalle operazioni per loro stessi. Baldassarri è stato l’unico a essere raggiungo nel 2013 da un arresto in custodia cautelare. Per ricostruire la rete delle sue società sono state fatte anche molte rogatorie internazionale. Il processo a Baldassarri, a Siena, per appropriazione indebita, è ancora in corso.

Invece Mussari e Vigni sono stati nel frattempo assolti in appello per ostacolo all’autorità di Vigilanza relativamente al caso del derivato Nomura. Erano accusati di aver nascosto il “mandate agreement”, cioè il contratto per la ristrutturazione del derivato preesistente. La corte d’Appello di Firenze ha però ribaltato la sentenza di primo grado, ritenendo che l’aver riposto il contratto in cassaforte non costituisse occultamento. E che quindi Bankitalia era libera di valutare ben prima gli effetti nocivi del derivato.

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