A quasi due mesi dalla liquidazione della prima pensione in quota 100, molti italiani si interrogano sull’effettiva convenienza della adesione a questa forma di pensionamento anticipato. Le principali caratteristiche sono ormai note: aderire a quota 100 richiede almeno 62 anni di età e, contemporaneamente, almeno 38 anni di contributi.
Per tutti coloro che hanno almeno una quota retributiva nella propria pensione, i 38 anni hanno anche un sub-requisito chiarito ulteriormente da Inps nel messaggio 1551/2019. Di questi 38 anni, che potranno essere accantonati in qualsiasi gestione Inps attraverso il cumulo contributivo gratuito, almeno 35 devono essere costituiti da sola contribuzione effettiva, vale a dire qualsiasi tipo di contribuzione accantonata (da riscatto, da accredito figurativo gratuito per maternità al di fuori del rapporto di lavoro, servizio militare e altro), fatta eccezione per i contributi da disoccupazione e da malattia non integrata dal datore di lavoro. Questo non vuol dire però che chi arriva ai 38 anni complessivi dopo un periodo di Naspi automaticamente sia escluso dal potere di accedere a questa forma di pensione. Infatti, per chi traguarda il requisito contributivo con esattamente i 38 anni di contributi, fino a 3 anni potranno essere costituiti da contributi figurativi da disoccupazione, Aspi, mini-Aspi e Naspi (introdotta dal maggio del 2015 e di durata massima per ogni singolo evento di disoccupazione, pari a 24 mesi).
Per alcuni lavoratori, come chi ha prestato per lungo tempo servizio in attività stagionali alternando lunghi periodi di disoccupazione accanto a quelli di lavoro, questo requisito rischia di compromettere l’accesso alla pensione. Per coloro che hanno meno di 18 anni di contributi al 1995 rimane un’ultima soluzione: effettuare l’opzione irrevocabile per il metodo contributivo prevista dalla riforma Dini. Infatti, per chi opta per il metodo contributivo, il requisito dei 35 anni di contribuzione effettiva viene meno, anche se l’opzione comporterà - analogamente a quanto osservato per “opzione donna” - spesso un decremento superiore anche al 20-30% dell’assegno lordo mensile.
«Finestre» di accesso
Una volta raggiunto il requisito anagrafico e contributivo di quota 100, il decreto di riforma del welfare ha ripristinato dei periodi di “finestra”, vale a dire di attesa prima della materiale decorrenza dell’assegno pensionistico; questi sono di tre mesi per i dipendenti del settore privato e per gli autonomi, sei mesi per i lavoratori del pubblico impiego. Oltre a queste finestre “mobili”, la norma ha anche posto dei cancelli obbligatori: per i lavoratori del settore privato che hanno maturato entro il 2018 i requisiti la pensione non poteva essere liquidata prima dello scorso aprile, mentre per i lavoratori pubblici che avessero raggiunto la quota 100 entro lo scorso 29 gennaio, il cancello della prima pensione percepibile si aprirà il prossimo 1° agosto.
Si deve tenere però conto che durante il periodo di finestra il lavoratore potrà lavorare, continuare a contribuire (versando contributi naturalmente poi considerati nella liquidazione dell’assegno ai fini della sua misura) o cessare l’attività lavorativa e accedere a pensione, una volta esaurita la finestra, anche il giorno successivo alla chiusura del rapporto di lavoro. La finestra si attiva e si esaurisce alla maturazione dei requisiti, senza legame con la data di chiusura effettiva del rapporto, che dovrà cessare (nel caso di lavoro dipendente) prima della decorrenza della pensione.
Redditi non cumulabili
Altra caratteristica, prevista per questa norma pensionistica straordinaria, è la incumulabilità reddituale introdotta dalla materiale decorrenza della pensione fino al compimento dell’età di vecchiaia (67 anni fino al 2020) dei redditi di pensione con altre tre tipologie reddituali. La pensione in quota 100, fino al raggiungimento dell’età pensionabile, non sarà cumulabile integralmente con redditi di lavoro dipendente e assimilati, nonché con quelli di lavoro autonomo. È prevista invece una parziale cumulabilità (nei limiti di 5.000 euro all’anno) con i redditi diversi percepiti a fronte di attività di lavoro autonomo occasionale.
In realtà la circolare dell’Istituto, all’indomani dall’entrata in vigore di quota 100, ha chiarito che l’incumulabilità è estesa anche ai redditi esteri e, se violata, non comporta la decadenza dal diritto alla pensione, che viene comunque conservato, ma la perdita delle rate di competenza dell’anno in cui si verifichi il cumulo vietato e la restituzione di quelle già percepite nei mesi precedenti dello stesso anno.
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