Come stabilito a suo tempo dalla legge 40/2007, di conversione del cosiddetto “decreto Bersani”, il recesso dai contratti conclusi con operatori di telefonia, di reti televisive e di comunicazione elettronica non dovrebbe comportare il pagamento da parte dell’utente di spese diverse e maggiori da quelle effettivamente sostenute da parte dell’operatore per la dismissione della linea o del trasferimento del servizio. Tali tipologie contrattuali, dette “contratti di adesione”, si caratterizzano per essere predisposte unilateralmente da un contraente, senza alcun margine negoziale a favore della controparte, ovvero per il consumatore.
La legge sulla concorrenza
Nel corso degli anni successivi, tuttavia, sia il legislatore, sia l’autorità giudiziaria, sia quella amministrativa preposta alla vigilanza del settore (l’Agcom) sono dovuti intervenire in più occasioni per ribadire tale principio. Alcune specifiche modifiche al decreto Bersani, poi, sono state apportate con la legge 124/2017, conosciuta anche come legge sulla concorrenza, proprio per rafforzare la tutela dei consumatori in caso di recesso dai contratti descritti. In particolare, tale norma, proprio nell’intento di favorire l’effettiva concorrenza tra i diversi operatori, ha inteso anche agevolare l’esercizio della facoltà di recesso degli utenti, eliminando ogni possibile impedimento tecnico o spesa ingiustificata nel passaggio tra un operatore e l’altro.
In quest’ottica, la concorrenza tra gli operatori viene garantita, in primis, proprio attraverso la tutela del diritto dell’utente di recedere dal contratto, a prescindere dal momento in cui questo è stato stipulato. La stessa legge, poi, ha ulteriormente specificato che le spese di recesso devono essere «commisurate al valore del contratto e ai costi reali sopportati dall’azienda, ovvero ai costi sostenuti per dismettere la linea telefonica o trasferire il servizio».
Laddove si tratti di contratti con offerte promozionali, la stessa norma ha stabilito che queste non possano avere una durata superiore a 24 mesi e che gli eventuali costi per il recesso anticipato debbano essere «equi e proporzionati al valore del contratto e alla durata residua della promozione offerta». Inoltre, il recesso e il cambio dell’operatore dovranno essere consentiti, in ogni caso, anche attraverso semplici modalità telematiche, così da favorire l’immediatezza nell’esercizio del relativo diritto.
L’emanazione della legge 124/2017, peraltro, non si è dimostrata risolutiva, dal momento che molti operatori hanno continuato a porre in essere diversi espedienti contrattuali per aggirare i vincoli normativi. In particolare, è rimasto l’uso di addebitare, agli utenti che recedono, diverse voci di costo tra cui, ad esempio, il rimborso delle promozioni o degli sconti precedentemente riconosciuti sui canoni periodici, sui costi di attivazione dei servizi, oppure sugli apparati forniti per il godimento dei servizi (quali modem, router, eccetera). In questo modo, le penali vietate dalla norma finiscono per tornare sotto altra forma. Conseguenza di questo comportamento è che gli utenti, per evitare “spese” inaspettate, tendono a rimanere con il loro attuale operatore, rinunciando a cogliere i vantaggi della libera concorrenza.
Obbligo di trasparenza
Per ovviare a tale situazione e garantire una maggiore trasparenza in materia, la stessa disciplina legislativa prevede per gli operatori l’onere di informare il cliente sulle reali spese che andranno sostenute in caso di recesso e ciò sia in fase di pubblicizzazione dell’offerta, che di sottoscrizione del contratto, nonché l’onere di comunicare direttamente all’Agcom l’ammontare delle spese relative al cambio di operatore (anche dette switching cost), esplicitando analiticamente la composizione di ciascuna voce e la rispettiva giustificazione economica. In questo modo l’Autorità, oltre a poter controllare preventivamente i costi futuri applicati agli utenti, potrà verificare il rispetto delle disposizioni di legge esercitando, se necessario, i propri poteri sanzionatori.
Linee guida Agcom
Al riguardo, peraltro, va ricordato che la stessa Agcom, con una delibera emessa a ottobre 2018 ( 487/18/Cons), ha fissato delle specifiche linee guida destinate sia alla maggior tutela degli utenti sia al chiarimento degli obblighi imposti agli operatori.
In base a tali linee guida, è definitivamente chiarito che le spese di “recesso” non sono soltanto quelle corrispondenti ai costi sostenuti dagli operatori per dismettere o trasferire l’utenza (costi che, comunque non possono essere superiori al canone mensile versato dall’utente), ma possono comprendere anche altre e diverse categorie di costi, quali: la restituzione degli sconti goduti dal cliente fino al momento del recesso, oppure il pagamento delle rate residue relative ai prodotti ed ai servizi offerti congiuntamente al servizio principale. In tutti i casi, anche i costi descritti dovranno, però, essere chiaramente elencati e risultare equi e proporzionati rispetto al contratto stesso, così come alla sua durata residua.
Come già ribadito anche da alcuna parte della giurisprudenza, infatti, i «costi di cessazione del servizio», quali che siano le voci di cui sono composti, non potranno essere calcolati «a forfait», poiché ciò significherebbe prevedere un costo standardizzato per il recesso che vìola il dettato legislativo (sentenza del 10 marzo 2018 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ).
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