La cessazione del contratto per la telefonia fissa e internet. Il passaggio a un altro operatore per l’abbonamento “voce&dati” dello smartphone o del tablet. Oppure l’aggiunta di un servizio extra, come l’upgrade alla fibra ottica.
Complice la digitalizzazione, le relazioni tra cittadini e operatori di telefonia, mobile e fissa, sono parte sempre più integrante della vita quotidiana della popolazione: secondo l’Istat,il 68,5% delle personedi età maggiore a sei anni si è connesso alla rete negli ultimi 12 mesi (nel 2017 era il 65,3%), mentre il 52,1% vi accede quotidianamente. E se i giovani restano i più grandi utilizzatori di internet (oltre il 94% dei 15-24enni), anche i 65-74enni che navigano online sono in aumento: passati dal 30,8% del 2017 al 39,3% del 2018.
Focus chiarezza
Ad avere a che fare con i contratti, magari conditi da allettanti offerte speciali, e le loro possibili variazioni o rescissioni è dunque una fascia di persone sempre più nutrita e trasversale. Trovarsi di fronte a policy poco chiare e costi nascosti - come quelli degli sconti, da restituire se si recede dal contratto prima della scadenza - non è impossibile: più volte, negli ultimi mesi, l’Autorità garante per le comunicazioni (Agcom) si è espressa sottolineando la necessità di una maggiore trasparenza sul piano dei contratti, a tutela del consumatore, fissando delle specifiche linee guida.
Il nodo dei pagamenti
La stessa Agcom è già intervenuta in tema di fatturazione mensile obbligatoria, imponendo lo stop alla pratica delle “bollette a 28 giorni”. Mentre il mese scorso gli operatori di telefonia hanno visto agire nei loro confronti anche l’Autorità garante per la concorrenza del mercato (Agcm) che si è espressa in riferimento alle modalità di pagamento bancario delle fatture.
Il 10 aprile, infatti, l’Antitrust ha deciso di sanzionare pesantemente alcuni dei principali operatori italiani – quali Vodafone, Wind e Fastweb – per violazione delle norme comunitarie contro la cosiddetta Iban discrimination tra cittadini europei titolari di conti correnti bancari all’interno della Ue (provvedimenti 27642, 27643 e 27645 del 10 aprile 2019).
L’Autorità ha potuto constatare che gli operatori in questionenon accettavanobonifici e addebiti diretti in conto per il pagamento dei propri servizi, qualora provenissero da conti correnti accesi presso istituti bancari che hanno sede in Paesi europei diversi dall’Italia: dunque, con codici Iban non caratterizzati dalle iniziali «IT» (a parte le banche di San Marino).
La grave discriminazione
Il Garante ha ritenuto che la condotta degli operatori telefonici abbia determinato una grave disparità tra gli strumenti di pagamento disponibili per gli utenti all’interno dell’Unione europea. E ciò con particolare riferimento al principio di non discriminazione dell’Iban, sancito dal regolamento Ue 260/2012 (poi ribadito anche dal regolamento Ue 2018/302 del 3 dicembre 2018).
Nel quantificare le sanzioni – pari a 800mila euro per Vodafone e Wind e 600mila per Fastweb – l’Antitrust ha tenuto conto, oltre che della gravità della violazione e delle dimensioni economiche degli operatori, anche dell’opera svolta per eliminare o attenuare l’infrazione. La posizione di Tim, per esempio, è stata stralciata perché la società aveva fin da subito deciso di regolarizzarsi in base alle indicazioni dell’Authority.
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