«Datemi una maschera e vi dirò la verità», sentenziava Oscar Wilde, superbo indagatore dei rapporti tutt’altro che casti tra essere e apparenza. Siccome ci manca lo spessore dei grandi decadenti, più modestamente diremo: dateci una maschera e vi canteremo una canzone. Successo assicurato. Altrimenti non si spiegherebbe l’inflazione di cantanti dal volto travisato e l’identità misteriosa cui assistiamo da un paio d’anni. Il capostipite si chiama Liberato, fa musica elettronica in lingua napoletana, si mostra in video soltanto di spalle e col cappuccio in testa, come Grillo dopo le elezioni del 2013. Le canzoni non sarebbero neanche male o, forse, non ci sembrano male perché mentre le ascoltiamo veniamo continuamente distratti da un interrogativo: qual è la vera identità di Liberato? È un cantante del giro di Bomba Dischi, il post-neomelodico Livio Cori o Francesco Lettieri, regista di tutti i video di Liberato che, anche grazie al progetto, è arrivato a un passo dal suo primo lungometraggio? Liberato, chi l’ha visto? Trovandoci a Napoli, più che Wilde verrebbe da citare Totò: io voglio vedere questo dove vuole arrivare. Qualunque posto sia, ha a che fare col marketing. L’anno scorso i primi concerti di Liberato contribuirono al lancio delle scarpe Converse One Star griffate dal cantante. Quest’anno l’uscita del primo album, accompagnato da un corto di Lettieri, rimanda a un sito di merchandising dove potete acquistare felpe e dischi ma «per cortesia fornite sempre un recapito telefonico», se volete comprare. Il cantante anonimo che scheda i propri fan. Questa sì: roba mai vista.
(Modesto Michelangelo Scrofeo)
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