A fine 2018 il parco circolante italiano di autovetture è costituito per il 46,4% da auto a benzina, per il 44,4% da auto diesel e per il restante 9,2% da soluzioni verdi. Nelle flotte aziendali la situazione è molto diversa. Secondo Econometrica, il diesel ha una quota dell’88%, mentre la benzina non va oltre il 4% e le soluzioni verdi hanno l’8%. Il predominio del diesel nell’auto aziendale ha ragioni precise. Per le vetture con percorrenze abbastanza elevate il diesel è la soluzione più conveniente e non comporta penalizzazioni in termini di prestazioni, confort e facilità di rifornimento. Contro il diesel è però in atto da tempo una campagna di delegittimazione e ciò nonostante che il diesel abbia emissioni di CO2 inferiori a quelle dei modelli a benzina e, nelle versioni di ultima generazione, anche emissioni inquinanti ridottissime.
Questa campagna si è fatta molto virulenta dall’inizio del 2018. Gli effetti non hanno tardato a manifestarsi anche in Italia. Nel 2018 la quota del diesel sulle immatricolazioni è scesa del 5,2%. Il calo del diesel è andato a vantaggio soprattutto delle versioni a benzina. La loro quota è cresciuta di 3,7 punti, mentre per le soluzioni verdi il beneficio è stato modesto. La loro quota è cresciuta di 1,5 punti. Nei primi quattro mesi del 2019 il fenomeno si è accentuato e la quota del diesel è crollata di 11,7 punti percentuali a vantaggio soprattutto della benzina che ha guadagnato 10,2 punti.
Nelle flotte aziendali il passaggio a soluzioni diverse dal diesel è molto sofferto perché esiste solo una soluzione conveniente come il diesel ed anzi più conveniente: il metano, ma la rete di distribuzione di questo carburante è ben lontana da essere capillare in tutto il Paese e dunque molte flotte scelgono ancora il diesel. Lottare contro l’ostracismo decretato dalla politica sarà però sempre più difficile perché aumenteranno le limitazioni all’impiego del diesel e perché vi è un altro fenomeno particolarmente insidioso. Il calo della domanda di auto diesel interessa, non solo le vetture nuove, ma anche quelle usate le cui quotazioni sono destinate a calare. Ciò comporta un aumento degli oneri di gestione dell’auto diesel perché il costo effettivo della vettura non è dato dal prezzo di acquisto ma dalla differenza tra il prezzo di acquisto e il ricavo derivante dalla vendita dell’usato. L’abbandono del diesel non sarà immediato e le auto diesel saranno disponibili ancora per molto tempo sul mercato, ma la via è tracciata e, nelle intenzioni della politica, porta al trionfo dell’auto elettrica. Quello che sta succedendo è però una crescita delle auto a benzina (che hanno emissioni di CO2 superiori ai diesel) e ciò perché sull’auto elettrica si stanno facendo passi da gigante, ma le condizioni per una sua diffusione di massa di questa soluzione non sono a portata di mano anche sul piano economico. Se la politica vuole essere coerente, intervenga sul piano economico per far sì che la campagna contro il diesel non sia controproducente per l’ambiente.
La soluzione c’è. È facile e poco costosa. In Europa la regola per l’auto aziendale è detrazione integrale dell’Iva e deduzione integrale dei costi dal reddito. In Italia da decenni sono in vigore forti limitazioni sia per le detrazioni dell’Iva che per le deduzioni dei costi. Il ministro Salvini si è impegnato per il Governo a rendere integrale la detrazione dell’Iva per tutte le auto aziendali con la prossima finanziaria. Se la promessa sarà mantenuta resteranno però in vigore i limiti alla deduzione dei costi. Il Governo dimostri la sua sensibilità per l’ambiente eliminandoli almeno per le auto verdi. Sarebbe un passo importante per rendere il nostro Paese normale ed europeo.
© Riproduzione riservata