Il convivente assegnatario della casa di abitazione, in sede di scioglimento della coppia di fatto, è l’unico soggetto passivo Imu (così come avviene per il coniuge separato o divorziato). Gli immobili degli enti non commerciali sono esenti solo se l’attività che lì viene svolta è “non commerciale”, cioè gratuita o con corrispettivi simbolici, senza che rilevi al riguardo il convenzionamento con il Servizio sanitario nazionale. È legittima, inoltre, la clausola contrattuale con cui il proprietario dell’immobile trasla sul conduttore l’imposta comunale patrimoniale. Sono alcune delle più interessanti (e recenti) affermazioni della Corte di cassazione in materia di Ici-Imu.
La casa all’ex convivente
La prima decisione riguarda l’equiparazione del convivente al coniuge, per la soggettività passiva Imu. Secondo l’articolo 4, comma 12-quinquies, del Dl 16/2012, ai soli fini dell’applicazione dell’Imu, l’assegnazione della casa coniugale al coniuge disposta in sede di separazione o divorzio, «si intende in ogni caso effettuata a titolo di diritto di abitazione». Nel caso affrontato dalla Corte (sentenza 11416/2019), vi era stata la separazione di una coppia di fatto, con assegnazione dell’abitazione a uno degli ex conviventi, insieme ai figli minori. La Cassazione ha preso le mosse da una rassegna di disposizioni civilistiche che, in termini di tutela del diritto a occupare la casa “familiare”, pongono sullo stesso piano i figli minori nati fuori dal matrimonio e quelli nati nel matrimonio.
Per effetto di tale equiparazione, il convivente a cui sono affidati i figli minori ha diritto di ottenere dal giudice l’assegnazione della dimora di residenza. Da ciò, il giudice di legittimità ha concluso che anche al convivente assegnatario debba essere attribuita la soggettività passiva Imu, con esonero dunque del proprietario dell’unità.
Peraltro, prosegue la Corte, la norma del 2012 potrebbe essere interpretata in via estensiva, non trattandosi di una previsione di carattere speciale. Quest’ultima considerazione non appare tuttavia condivisibile. Perché è invece evidente come la norma in esame abbia voluto dettare una deroga alla regola generale, secondo cui la soggettività passiva Imu compete solo ai titolari di diritti reali di godimento. Va infatti ricordato che, per orientamento consolidato, l’assegnatario vanta un mero diritto personale di godimento sulla casa familiare (Cassazione, sentenza 17843/2016). Già questo sarebbe sufficiente per rinvenire il connotato della specialità nella disposizione. A ciò si aggiunga che, per effetto dell’articolo 13 del Dl 201/11, la casa coniugale assegnata al coniuge è oggi del tutto esente da imposta; ed è noto che le fattispecie di esenzione sono, per definizione, speciali. Dunque, non è chiaro se si è in presenza di un orientamento che possa ritenersi consolidato.
Gli enti non commerciali
Per quanto riguarda invece gli enti non commerciali, la Cassazione (sentenza 10124/2019) ha confermato – in riferimento alle attività sanitarie, ma con ovvi riflessi di carattere generale – che l’esenzione da Ici compete solo se l’attività svolta è non commerciale. Riprendendo in proposito quanto stabilito dalla Commissione Ue, ciò avviene solo se le prestazioni sono effettuate gratuitamente o dietro pagamento di corrispettivi rappresentativi di una quota del tutto minoritaria del costo sostenuto. Non fa differenza la circostanza che si tratti di attività convenzionata con il Ssn, poiché, se le tariffe convenzionate sono sufficienti a coprire i costi del servizio, la stessa ha natura commerciale.
Si osserva, infine, che non potrebbero comunque essere utilizzati i criteri stabiliti nel Dm 200/2012, in materia di Imu, perché emanati al di fuori della delega di legge. Quest’ultima affermazione non è esatta: la norma di delega è contenuta nell’articolo 91-bis del Dl 1/2012, che, dopo l’integrazione apportata dal Dl 174/2012, demanda alle Finanze anche i requisiti per qualificare come commerciali le attività degli enti non profit, nei diversi settori. La vera criticità è la contrarietà dei criteri ministeriali rispetto ai parametri indicati dalla Commissione Ue, correttamente richiamati dalla Suprema corte.
Il rimborso Imu dell’inquilino
La Cassazione a Sezioni unite (sentenza 6882/2019) ha poi legittimato la clausola contrattuale con cui il proprietario addebita all’inquilino le tasse sugli immobili, inclusa l’Ici-Imu. Ciò che è dirimente – afferma la Corte – è che la soggettività passiva non può essere oggetto di patti tra privati. Ne deriva che l’unico contribuente resta il proprietario (che ha quindi l’obbligo di versare il tributo). Ma nulla vieta che le parti si accordino per una sorta di manleva da parte del conduttore in favore del locatore.
© Riproduzione riservata