C’è qualcosa di eroico in ogni iimprenditore italiano, a maggior ragione se l’azienda si trova nel sud del nostro Paese e se vuole restare fieramente indipendente.
Negli anni Pino Lerario è rimasto ancorato alla sua idea di qualità, artigianalità e “made in Puglia”, ma ha continuato a introdurre piccoli grandi cambiamenti in azienda, perché come creativo e come imprenditore lo spaventa solo l’immobilità. «Qualche stagione fa abbiamo inserito le calzature e le stiamo ancora mettendole a punto, perché il mestiere che abbiamo imparato a fare bene è quello di sarti, non di calzolai – spiega Lerario –. I clienti però ci stanno dando molte soddisfazioni e lo stesso vale per le collezioni donna, che sono ancora una parte piccola della produzione, ma che crescono più velocemente dell’uomo».
A piacere è stato proprio il fil rouge tra sartorialità maschile e femminile, nei tagli e nei tessuti. «Siamo da sempre conosciuti e apprezzati per entrambi: disegniamo ogni capo, cambiando di stagione in stagione piccoli particolari, lavorando con tessuti che nella maggior parte dei casi vengono fatti in esclusiva per Tagliatore».
Possibile che Lerario non tema l’incertezza crescente dei mercati, l’infedeltà ai marchi delle nuove generazioni e le incognite geopolitiche? «Vedo tutte queste cose e, certo, a volte percepisco quanto sia difficile continuare a scommettere, anno dopo anno, sul lavoro creativo e di qualità – risponde Lerario –. Ma è un a “dolce condanna” perché in azienda siamo tutti mossi da grande passione per quello che facciamo e leggere i dati di sell out dei nuovi prodotti in costante crescita è la nostra maggior soddisfazione, significa che istinto e razionalità hanno lavorato bene e che lo hanno fatto insieme».
L’idea di fare squadra torna costantemente nell’esposizione del direttore creativo e proprietario, con la famiglia, di Tagliatore. «Se c’è una cosa che vivo con grande dispiacere è lo stato delle nostre scuole e in genere della formazione. Nel tessile-moda ci sono lavori bellissimi, in ogni campo e a diversi livelli, ma non siamo stati capaci di farlo capire ai giovani e ora l’istruzione, in genere, è diventata un’emergenza».
Il sogno di Lerario resta quello di aprire un monomarca, quasi certamente a Milano, ma non è ancora il momento. «Per ora mi limito a fantasticarci, a immaginare come lo arrederei. Non lo aprirei mai tanto per farlo. Il Giappone, dopo l’Italia, è il nostro secondo mercato e da quel Paese ho imparato molto. Apprezzano il made in Italy perché vedono ogni dettaglio, capiscono cosa c’è dietro. Non so come si dica in giapponese, ma credo che anche loro pensino che fare significa fare bene. Sennò meglio lasciare perdere».
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