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Dossier La cedolare del 21 o del 10% agevola il proprietario

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    Dossier | N. 3 articoliValute fai-da-te

    La cedolare del 21 o del 10% agevola il proprietario

    Una componente essenziale della redditività immobiliare (al di là delle variabili imposte da spese di manutenzione, morosità e periodi sfittanza) è quella fiscale. Non si tratta di una variabile impazzita, dato che le norme fiscali non cambiano molto spesso, ma è certo che il peso delle imposte locali ha trasformato l'affitto in una mezza trappola, dalla quale si esce con molta accortezza.

    Le imposte sui redditi

    Le locazioni abitative più comuni sono di due tipi: contratto “libero” o “di mercato” e contratto a canone “concordato”. Il primo ha la caratteristica di avere una durata minima di quattro anni più un primo rinnovo automatico di altri quattro (tranne poche eccezioni). Ai canoni pattuiti (anche se non incassati, almeno sino alla convalida di sfratto per morosità) si può applicare la cedolare del 21% che comprende anche l'imposta di registro.

    Alla seconda tipologia (con durata minima di tre anni più due di primo rinnovo automatico), che prevede invece il pagamento da parte dell'inquilino di canoni ridotti e determinati in base agli accordi stipulati a livelli comunali tra associazioni della proprietà e sindacati inquilini, i canoni (sempre con lo stesso meccanismo) sono assoggettati alla cedolare del 10% che anche in questo caso comprende l'imposta di registro. Lo stesso trattamento fiscale è riservato ai contratti a uso transitorio e a quelli per studenti, cui si applicano, per legge i canoni “concordati”

    I conti, quindi, sono presto fatti: se la differenza tra il canone di mercato medio della zona non supera il 12,2 per cento, si va in pari. Se invece (come accade quasi sempre) la differenza è superiore, la convenienza economica pende a favore del canone a libero mercato.

    Le altre tipologie diffuse, legate al turismo, sono gli affitti brevi e l'utilizzo dei locali per l'attività di bed & breakfast o affittacamere.

    Gli affitti brevi (di durata non superiore ai 30 giorni) scontano la cedolare del 21 per cento, che viene trattenute e versata al fisco subito in caso il pagamento sia gestito da “intermediari immobiliari” (agenzie e portali, anche se Airbnb si è chiamata fuori dall'adempimento) o al momento della dichiarazione dei redditi se i contratti sono gestiti direttamente.

    E sin qui il calcolo delle tasse, da sottrarre al ricavato dei canoni, non è difficile. Esiste sempre la possibilità teorica di pagare, al posto della cedolare, l'Irpef (con uno sconto dall'imponibile del 20% per i canoni concordati) e l'imposta di registro del 2% ma non conviene quasi mai.

    Sulle altre attività (B&B e affittacamere) si paga invece l'Irpef se esercitate occasionalmente, altrimenti, se si tratta di attività d'impresa, imposte lievitano e si aggiunge l'Iva.

    Le imposte locali

    Il grande peso che incombe sui proprietari immobiliari e finisce con il far salire il caro tasse anche al 40% dei canoni, è rappresentato da Imu e Tasi. Sono variabili in quanto dipendono dal valore catastale dell'immobile, che varia in base al numero dei vani, alla categoria e al Comune. In linea di massima, per un appartamento medio di 100 metri quadrati in zona semicentrale di una grande città, il prelievo si aggira sui 1200-1500 euro. Insomma, una mesata (o anche più) di affitto solo per il Comune.

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