Ho in portafoglio degli investimenti che non stanno dandomi grandi soddisfazioni, anzi sto perdendo parecchio. Ho sentito
che, qualora non fosse stato firmato il contratto quadro per l’investimento, potrei avere la possibilità di essere rimborsato.
Non so però se mi devo rivolgere all’arbitro per le controversie finanziarie o a un altro organismo.
Livio Sandri
(via e-mail)
Il tema è abbastanza controverso. In effetti i Tribunali stanno operando in questo senso un po' a macchia di leopardo.
Come sempre le istanze vanno valutate in base alla tipologia dell'investimento.
Una nuova sentenza è stata emessa dal Tribunale di Parma che ha confermato che la mancanza del “Contratto generale di investimento” comporta il rimborso dei risparmi perduti, anche in presenza di altri contratti sottoscritti per altri investimenti.
Nel caso in questione l'ordinanza del Tribunale di primo grado ha affermato un importante principio che, secondo l'avvocato
Giovanni Franchi, che ha ottenuto tale provvedimento «supera la tesi di altri tribunali per i quali non possono selezionarsi
solo gli investimenti andati male – spiega Franchi. –. Più in generale si è stabilito che anche se sussiste la firma di un
deposito titoli essa non basta».
Nel dettaglio, con sentenza numero 1320/18 del 21 settembre 2018 il Tribunale di Parma ha condannato il Credito Emiliano Spa
a restituire ad una consumatrice, anch’essa avvocato, la somma di 7.950,74 euro, oltre agli interessi e alle spese legali.
Si tratta di una risparmiatrice che aveva incaricato una filiale di quell’istituto di credito di curarle l’investimento di
una notevole somma di denaro (circa 239mila euro) e che non ha accettato di subire una minusvalenza già verificatasi a pochi
mesi dall’investimento. Il tutto era legato alla perdita di valore di alcune Sicav che, secondo quanto riportato dall’avvocato
della donna, avevano investito in titoli della Grecia: trattandosi dei risparmi della propria famiglia la donna ha deciso
di adire le vie legali.
E, non accettando quella perdita, si è rivolta a Konsumer, associazione di consumatori, che ha ottenuto la vittoria deducendo
la mancanza di un contratto generale d’investimento redatto in forma scritta.
E proprio questa è la ragione posta a fondamento della sentenza, il fatto che gli investimenti fossero stati effettuati senza
quel contratto.
Per il Tribunale non ha avuto alcuna importanza che vi fosse il contratto relativo al deposito titoli, talvolta confuso con
il contratto generale d’investimento e neppure – non è scritto ma si deduce implicitamente - che si trattasse di un investitrice
che aveva altri e più corposi investimenti. Ed è stata così superata la tesi, seguita da altri Tribunali, per i quali in una
causa non si possono selezionare solo gli investimenti andati male.
«A parere di questo giudicante, la domanda appare fondata, posto che la parte convenuta, a sostegno della legittimità della
propria condotta, ha prodotto unicamente il “contratto di deposito e amministrazione” sottoscritto da parte attrice, nel quale
sono richiamati il contratto quadro e le sue disposizioni , ma non ha prodotto il suddetto secondo contratto, per il quale
l’articolo 23 del Tuf prescrive la forma scritta ad substantiam. Ne deriva – secondo il giudice –la nullità degli ordini d’acquisto e delle operazioni oggetto di causa e l’obbligo, per
parte convenuta, di restituire la somma richiesta, pari a 7.950,74 euro, oltre agli interessi legali dalla data della domanda
al saldo».
Sulla vicenda il Credem contattato fa sapere che «La banca ritiene di aver agito correttamente e ha già provveduto ad impugnare
la sentenza in Corte d’Appello, confidando nell’integrale revisione alla luce del reale svolgimento dei fatti e della giurisprudenza
in materia».
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