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I Pir spingeranno in Borsa 160 aziende nei prossimi 3 anni

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I Pir spingeranno in Borsa 160 aziende nei prossimi 3 anni

I Pir sono un successo, hanno ampliato la gamma di strumenti a disposizione degli investitori, hanno saputo sfruttare al meglio la propensione al risparmio delle famiglie italiane e sono riusciti a rendere più efficiente il mercato delle Pmi. In cinque anni potrebbero raccogliere tra i 35 e i 50 miliardi di euro e favoriranno l’apertura di altre piccole medie imprese al mercato. Occhio però alle commissioni di alcuni prodotti e al rischio bolla se sul mercato l’offerta non sarà adeguata alla domanda. Ecco in estrema sintesi quanto emerge da un corposo studio firmato Jeme Bocconi, Deloitte e Nctm Studio legale sui piani individuali di risparmio presentato recentemente da Savino Carpuso, senior manager di Deloitte e Luca Ferrari Trecate di Ntcm Studio legale.

Un amore a prima vista


Quello per i Pir è stato un amore a prima vista che ha spinto operatori e Governo a rivedere al rialzo le stime di raccolta subito dopo il loro debutto sul mercato italiano. Tanto per avere un’idea nel 2017 il segmento Pir ha raccolto 10,9 miliardi contro gli 1,8 delle previsioni e oggi si stima che a fine anno il patrimonio possa superare i 22 miliardi (al momento le masse sono di poco inferiori a 19 miliardi) rispetto ai 15,7 dell’anno precedente. La raccolta sta andando più a rilento (3,8 miliardi stimati nei primi 9 mesi 2018), ma un calo era fisiologico, visto la corsa a briglia sciolta che ne ha caratterizzato l’andamento il primo anno di vita.


Un ruolo primario nell’industria del risparmio


Il grande contributo dei Pir, oltre a indirizzare il risparmio delle famiglie verso l’economia reale, è anche quello di permettere al sistema italiano di diventare meno bancocentrico. Oggi il mercato dei Pir ha una potenza di fuoco composta da 70 prodotti proposti prevalentemente da una trentina di gruppi italiani, anche se sul mercato stanno progressivamente entrando anche investitori internazionali e quindi il ventaglio dell’offerta potrebbe essere destinato ad allargarsi ulteriormente, complice un universo di 9mila Pmi che, secondo lo studio di Deloitte, potenzialmente potrebbero aprirsi al mercato in futuro, allargando così l’orizzonte investibile. Non solo. Grazie ai Pir, sempre secondo le stime dello studio, nel triennio 2018-2021 potrebbero esserci 160 nuove quotazioni che farebbero raggiungere all’Aim Italia una capitalizzazione di mercato di 16 miliardi e porterebbero a 300 il numero di società quotate. Ma per far sì che ciò avvenga, bisogna ancora lavorare molto sull’aspetto culturale, cercando di arginare l’atteggiamento ansioso di molti piccoli imprenditori che sono restii ad aprirsi al mercato. Sicuramente lo sconto del 50% delle spese per la quotazione, unito all’eventualità di poter allargare agevolazioni fiscali anche alle Pmi ad alto potenziale, rappresenta un volano non indifferente per favorire l’ingresso sul mercato. Ma è un processo che richiede tempo.


I numeri del sistema Italia


Ecco alcuni spunti di riflessione che emergono dallo studio sul sistema Italia: il 99% delle Pmi costituisce l’attuale panorama imprenditoriale italiano e occupa

l’80% della forza lavoro; su un totale di 140.362 Pmi soltanto 225 società sono quotate in Borsa; 90% dei finanziamenti in Italia è di natura bancaria, mentre negli Stati Uniti e in Inghilterra il ricorso agli istituti di credito è limitato al 20% (il resto arriva dal mercato dei capitali). Una critica che viene però spesso rivolta ai Pir è quella di investire molto sul segmento della grande industria e del settore finanziario ma questo atteggiamento è dovuto alla necessità del gestore di soddisfare vincoli di liquidabilità che non ci sarebbero se la struttura del Pir per esempio fosse chiusa e che oggi sono anche la principale causa della riduzione di valore delle performance dei piani individuali.

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