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Costi o perdite? Come fanno i consulenti finanziari a spiegare il…

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risparmio e mifid II

Costi o perdite? Come fanno i consulenti finanziari a spiegare il 2018 ai loro clienti

Foto Marka
Foto Marka

Entro la fine di febbraio i consulenti finanziari dovranno comunicare ai clienti quanto incassano in termini di commissioni, secondo quanto previsto dalla Mifid II. Sciorinare dettagli sulle spese sostenute - dalle commissioni di ingresso a quelle di gestione - non sarà semplice per i consulenti finanziari, viste le performance delle Borse nel 2018, in gran parte negative. Quello che si prepara in queste settimane è una tempesta perfetta per l’industria finanziaria: perdite, almeno di periodo, a fronte di spese in taluni casi rilevanti. Certo, si obietta giustamente che chi gestisce il denaro dei risparmiatori lo fa per lavoro e non può essere remunerato solo se c’è una plusvalenza: tra le varie controindicazioni, ciò porterebbe i gestori ad assumere rischi superiori a quelli coerenti con la natura dei fondi comuni in questioni, che sono appunto diversificati in base al profilo di rischio.

Rendimenti negativi nel 2018
Il tema appare ancora più chiaro se si osservano i numeri: come registrato dal «Sole 24 Ore», a fronte di un -16,7% dell’indice Ftse Italy di Piazza Affari, si registrano perdite superiori per la maggior parte dei fondi comuni azionari Italia. Che in media applicano commissioni di ingresso del 2,68%, cui si aggiungono commissioni di gestione in media del 2,13% (ma con punte rispettivamente del 6,5% nel primo caso e del 3,93% nel secondo). Significa che dai 10mila euro ipoteticamente investiti un anno fa, vanno sottratti mediamente 480 euro di costi, oltre a quanto perduto dal valore quota del fondo, mediamente 1700 euro. Totale -2180 euro in un anno.

Commissioni “educative”
Le commissioni di ingresso, in particolare, non sono molto amate: fino a pochi anni fa l'industria finanziaria sosteneva che fossero avessero una funzione “educativa”, costringendo il risparmiatore a rimanere investito nel “lungo periodo” ed evitare di disinvestire in modo umorale per i cali di Borsa. Erano gli anni in cui per le reti di consulenti era fantascienza l'architettura aperta o il collocamento di prodotti di terzi. Oggi in epoca Mifid e Mifid II quell’epoca sempre preistoria.

Trasparenza indigesta....
Reti e gestori sono allo studio per trovare il modo migliore per spiegare costi e perdite ai loro clienti. Non sarà facile, anche perché dovranno farlo sapere sia in termini percentuali che in valori assoluti. Quest’ultima rappresentazione è, secondo molti economisti comportamentali, ancora più indigeribile per il cliente finale, visto che il consumatore può facilmente comparare quei 2mila euro “persi” (provvisoriamente, è chiaro) con altri beni o altri acquisti potenziali: un viaggio, cambiare gli smartphone a tutta la famiglia, iscriverla in palestra o semplicemente pagare con più serenità bollette, mutui o debiti contratti.

....ma necessaria
L'introduzione della Mifid II, nelle intenzioni, dovrebbe alzare il velo su quanto paga davvero la clientela dei servizi e dei prodotti finanziari. Il che non è: i consumatori di prodotti e servizi finanziari non hanno cioè idea di quanto spendono. E non sono pochi coloro i quali ritengono sia gratuito. La ragione è semplice: il sistema attualmente prevede che il consulente finanziario venga remunerato con una “retrocessione” commissionale da parte del gestore. Il che significa che il consulente è in potenziale conflitto di interesse, cioè potrebbe essere tentato a consigliare gli strumenti per lui più remunerativi. Da qui l’introduzione della Mifid II. Che preoccupa le reti.

L’impatto sulle reti...
Anche perché, secondo una molto citata ricerca McKinsey, la clientela più “ricca” ossia gli affluent, sottostima i propri esborsi, ritenendo di pagare effettivamente in media il 75% di quanto pagano davvero; per la clientela dei consulenti finanziari la sottovalutazione dei propri esborsi si limita al 16%. Secondo McKinsey, l'industria finanziaria incassa ricavi tra l'1 e l'1,5% sull’ammontare delle masse gestite, senza che la clientela se ne accorga.

..... e sui consulenti
Il 2018 è passato tra preoccupazioni crescenti per l'introduzione: i professionisti che «non si sentono indirizzati dalle proprie reti» è salito dal 52% di gennaio al 58% di settembre. Per evitare l'ira dei clienti, inoltre, i costi potrebbero ridursi tra il 6 e il 10%, il che significa un impatto sui conti economici delle reti tra i 300 e i 600 milioni di euro. Perchè, è il caso di ricordarlo, a loro va la quota maggioritaria delle fee, mentre i gestori non incassano più del 30%.

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