Come il postino, anche il truffatore online suona due volte. Non sempre. Ma quando lo fa è particolarmente insidioso. La prima volta blandisce il malcapitato risparmiatore sino a convincerlo a investire (a leva) su piattaforme web (quasi sempre riconoscibili per la lettera“X” inserita nel nome del sito). Poco importa dove asseriscono di investire (materie prime, oro, petrolio, Cfd, contract for difference o altri strumenti derivati). La seconda, non pago di avere ottenuto il suo scopo e avere bruciato tutto il denaro del suo interlocutore, cambia casacca e finge di incaricarsi di recuperare il denaro perduto. Una bella faccia tosta, si dirà. No. Un accurato lavoro di pianificazione che non lascia nulla al caso e il cui scopo finale è quello di fare del risparmiatore poco accorto ciò che abitualmente si fa con i limoni. Spremerlo fino all’ultima goccia.
Risparmio vulnerabile
Inevitabilmente in questa fase trova interlocutori ancor più vulnerabili. Proprio perché hanno bisogno di tutto l’aiuto possibile
e, non sapendo dove trovarlo, tendono a sedare la propria ansia “fidandosi” senza verificare sino in fondo le credenziali
dei loro presunti salvatori. Così per la seconda volta abboccano agli inviti di coloro che, misteriosamente al corrente
delle loro disavventure finanziarie, li esortano a consegnare (rigorosamente online) le proprie credenziali, codici fiscali,
numeri di carta di credito e a spillare loro altro denaro.
La Consob interviene
Il fenomeno, che sta a cavallo tra il traffico di dati sensibili e la frode, sta diventando talmente rilevante da indurre
la Commissione di controllo per le società e la Borsa a lanciare l’allarme. In un comunicato l’Authority chiarisce che «La
presunta attività di recupero crediti è promossa da soggetti che operano tramite società i cui nomi talvolta evocano per assonanza
note istituzioni finanziarie.
L’obiettivo sembra essere quello di trarre in inganno una seconda volta i risparmiatori già caduti nella trappola di una truffa. In alcuni casi viene usato impropriamente il logo della stessa Consob nel tentativo di accreditarsi come operatori qualificati, titolari di un incarico».
Esattamente quanto riportato in un articolo pubblicato su Plus 24 di sabato 29 dicembre scorso che aveva individuato una modalità operativa particolarmente insidiosa. In rete veniva selettivamente distribuito ai sottoscrittori di investimenti virtuali (truffe online) un modulo che, asseritamente, era emanazione di un falso fondo di garanzia. Su tali moduli, redatti su carta intestata, spiccava un logo identico (tranne che per i colori) a quello della Deutsche bank. I moduli erano anche corredati da altrettanti stemmi e simboli di Authoriy esistenti (tra cui quello della Consob, quello dell’European banking federation, e dell’Esma (la Consob europea). Un fake concepito in maniera diabolica.
Il fondo di garanzia che non c’è
Come nota Giuseppe D’Orta, dell’Aduc (associazione degli utenti e consumatori) che da anni vigila sul settore: «Il testo,
è almeno in apparenza credibile (anche se sono presenti errori grammaticali e di sintassi tipici delle mail truffaldine scritte
da chi non padroneggia la lingua)». Credibili anche le società “cortine fumogene” scelte perché esistenti e magari note ai
clienti. «Ma nel testo - spiega D’Orta - viene comunicato che la tal banca è incaricata di rifondere i truffati da alcuni
broker in virtù della Direttiva DI144-2007-15 del 2015 “emessa” (emanata, n.d.r.) dalla Consob. Ora - continua D’Orta - la
Direttiva esiste davvero, così come esiste davvero il Fondo di Garanzia ma, a parte il fatto che è stata come ovvio emanata
dal Parlamento Europeo e non dalla Consob, il Fondo di Garanzia risarcisce i clienti di intermediari residenti nella Unione
Europea che si trovano nella impossibilità di restituire gli strumenti finanziari della clientela».
© Riproduzione riservata