Santi, navigatori e poeti, ma tutti scaramantici gli italiani. E i loro consulenti troppo rivolti ai prodotti e poco agli obiettivi dei clienti. Sono queste le due coordinate più interessanti emerse dall'incontro dedicato a “come bilanciare le esigenze patrimoniali e successorie con il tema dei costi”, svoltosi durante il Salone del Risparmio 2019, organizzato da Eurovita. Ad intervenire Luca Matassino di Eurovita e Nicola Ronchetti di Finer Finance Explorer.
Nell'analisi della situazione del risparmio degli italiani, i dati presentati nel corso del convegno confermano alcuni dati
preoccupanti, come il dimezzamento degli investitori retail dal 2002 al 2018, ma anche uno sbilanciamento verso il possesso
di beni immobili e liquidità, nonostante l'elevato «costo» e la ridotta redditività di questi asset. In particolare per quanto
riguarda il rapporto tra il patrimonio gestito (58%) e la liquidità sui conti correnti (42%) è stato segnalato che risulta
ancora troppo sbilanciato. E che in fondo se in tempi di Mifid 2 sui costi è stato notato che il costo della mancata gestione
dei propri soldi è più o meno uguale (più o meno) per affidare a un gestore il proprio risparmio.
Ma se questa è la situazione, qual è il rapporto con il cosulente?
Quest'ultimo come si diceva sembra molto più attento a collocare prodotti finanziari e polizze, che a occuparsi degli obiettivi
di vita del cliente e della sua famiglia. Sulle polizze però, che pure è uno degli oggetti di discussione in 32 casi su 100
tra clienti (almeno per quelli che hanno un patrimonio superiore a 200mila euro) e consulenti, questi ultimi poi non registrano
grandi successi, visto che gli italiani restano poco assicurati. Solo un quarto per la casa. Una scelta che probabilmente
è più imposta dalla banca in sede di mutuo che scelta dal risparmiatore. Tra il 10 e il 15 per cento stanno quelli che stipulano
una polizza: infortuni, vita, Rc Famiglia. Solo il 4 per cento per le malattie. Insomma l'esigenza di coprirsi dai rovesci
della vita, non sembra colpire molto gli italiani.
E se sulle assicurazioni non ci vogliono sentire, quando si parla di successioni è più facile che arrivino vari gesti apotropaici
che un confronto. Se nella media europea un cittadino su due pensa alle tematiche legate alla successione, in Italia uno su
cinque. Ma dichiara solo di pensarci, perché da qui a fare qualcosa ce ne passa. La media sale (moderatamente) nel caso degli
imprenditori, ma non cambia molto.
I dati sono chiari: il 20 per cento ci ha pensato, il 5 per cento ha affrontato la questione. L'1 per cento solamente ha affrontato
la questione della successione avendo ricevuto una proposta da un consulente. Quindi l'80 per cento di chi l'ha fatto, ci
ha dovuto pensare da solo. Un dato importante che però i consulenti potranno tener presente nell'affrontare la questione:
nel corso dell'incontro è stato infatti spiegato che la sensibilità maggiore sul tema del passaggio generazionale sta dal
lato delle donne, per cui calibrando il dialogo con queste ultime, forse potrebbero starci più spiragli per una proposta di
successo.
Se quindi gli italiani continuano ad essere ottimi risparmiatori e pessimi investitori, nella forbice tra questi due attitudini
si apre un enorme spazio per i consulenti.
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