Semaforo verde alla normativa sui nuovi Pir. Alla fine il tanto sospirato decreto attuativo è arrivato. Non ci sono grandi modifiche rispetto alla normativa primaria. Come previsto, i Pir 2.0 sono vincolati a investire una percentuale minima sull’Aim e sul Venture capital. Le Pmi oggetto dell’investimento saranno quelle che, nell’accezione comunitaria (e non del Tuf per evitare il rischio di infrazione sugli aiuti di Stato) arrivano ad avere 250 dipendenti, un fatturato massimo di 50 milioni oppure un totale di bilancio annuo che non superi i 43 milioni. Inoltre queste società non devono aver ricevuto risorse finanziarie per una somma superiore a 15 milioni, non devono essere quotate sui mercati regolamentati e non devono essere operative sul mercato da più di 7 anni.
Pubblicato in Gazzetta
Il decreto 30 aprile 2019 sui piani individuali di risparmio è stato pubblicato in Gazzetta il 7 maggio scorso confermando quindi la soglia del 3,5% (che equivale al 5% del 70%) della raccolta da investire per i nuovi Pir (quelli cioè nati dopo il 1 gennaio 2019) rispettivamente sull’Aim e sul Venture capital. Viene così confermato lo schema normativo stabilito nella legge di Bilancio 2019 che modifica la legge 632 del dicembre 2016 e che tanto ha fatto discutere gli addetti ai lavori. Diffusa la delusione tra i gestori di fondi secondi i quali la legge così come è stata concepita è destinata a mettere la parola fine ai Pir di nuova generazione. Se questo fosse vero, il mercato sarebbe destinato a fermarsi ai 72 prodotti attualmente offerti. Il Ministero dello Sviluppo economico tra sei mesi rivaluterà comunque la situazione, come spiegato nell’articolo 6 del decreto «al fine di valutare opportunità di interventi normativi ulteriori». Una speranza di molti.
Bankitalia mette in guardia sul rischio perdite
Una forte critica arriva alla normativa arriva da Banca d’Italia, secondo la quale le nuove regole sui Pir «aumentano il profilo di rischio dei Pir, strumenti di risparmio rivolti alle famiglie. Le nuove regole inoltre - scrive via Nazionale nel Rapporto sulla stabilità finanziaria - possono rendere più difficile il rispetto dei requisiti prudenziali di diversificazione e di liquidità previsti per i fondi Pir esistenti, tutti costituiti nella forma di fondi aperti». Inoltre la banca centrale italiana sottolinea l’aumento del rischio che «i fondi registrino perdite derivanti da vendite di attività in mercati poco liquidi a fronte di episodi di forte volatilità dei corsi che inducano i sottoscrittori a liquidare l'investimento prima di conseguire il beneficio fiscale. Tali perdite potrebbero riflettersi negativamente sui risultati dei Pir e sulla reputazione degli intermediari che li promuovono. Proprio al fine di limitare questi rischi gli investimenti dei fondi aperti italiani in titoli di Pmi italiane e in fondi di venture capital sono attualmente pressoché nulli».
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