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Climate change, come mettere al riparo il portafoglio

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finanza sostenibile

Climate change, come mettere al riparo il portafoglio

«Per quelle società del settore energetico che mancano della capacità o volontà di evolvere, ci aspettiamo che la transizione energetica avrà effetti darwiniani. Gli investitori le eviteranno, in taluni casi disinvestiranno». Deirdre Cooper si occupa della strategia internazionale in tema ambiente di Investec AM (società sudafricana che gestisce 120 miliardi di euro). Cooper non lascia scampo alle aziende poco lungimiranti sul cambiamento climatico e sulle sue conseguenze. A riprova della grande attenzione degli investitori in questo campo, c’è da ricordare l’assemblea del gruppo petrolifero britannico BP che si è svolta martedì 21 maggio in Aberdeen. A larghissima maggioranza, supportata anche dal management della società, è passata la risoluzione che obbliga l’azienda a report più dettagliati sull’allineamento dei propri investimenti con gli obiettivi di contenimento della CO2 decisi a Parigi nel 2015.

La nuova frontiera dell’engagement

Era un termine da addetti ai lavori: engagement ovvero il confronto ( a volte scontro) con l’azienda da parte dei gestori attenti ai temi ambientali, sociali e di governance. Quell0 che è accaduto ad Aberdeen martedì è conseguenza di un engagement ben organizzato da grandi investitori istituzionali riuniti sotto la sigla di ClimateAction+100 che riunisce fondi pensione, società di gestione, assicurazioni e fondazioni di tutto il mondo. Assieme gestiscono circa 33 mila miliardi di dollari, una vera potenza al servizio della finanza sostenibile. Sono stati quelli di ClimateAction100+ a produrre la risoluzione da portare in assemblea di BP e a farla votare dal 99% degli azionisti. Un successo. L’engagement con «società esposte strutturalmente alla transizione energetica» è uno dei punti chiave da monitorare secondo l’esperta di Investec AM. Le aziende sotto osservazione sono quelle del settore energia, industria mineraria e industria pesante: «Queste imprese, infatti, devono fare i conti con un futuro in cui le persone utilizzeranno sempre meno il loro prodotto finale, e hanno necessità di riflettere su quale debba essere la strategia di sopravvivenza e come la comunità degli investitori tratterà un settore che genera significativi flussi di cassa e dividendi, ma che è responsabile di gran parte delle emissioni di CO2».

L’esperienza della canadese Bmo Global AM

Fra le società di gestione più esperte al mondo in tema di engagement c’è la canadese Bmo Global AM (fa parte di Bmo financial group, patrimonio da 535 miliardi di euro). Attiva da 35 anni negli investimenti sostenibili, Bmo è giunta alla 15ma relazione annuale sull’engagement: il confronto è in corso con 665 società in 46 Paesi. In una nota del gruppo viene ricordato che sono stati registrati «237 casi di successo nell’ambito dei quali sono stati messi a segno miglioramenti sul piano delle politiche e delle pratiche Esg». Oltre metà (54%) dei traguardi raggiunti da Bmo sono allineati ai goal dell’Onu (Sdg’s). «In particolare il 14% di questi target è connesso all’obiettivo 12 incentrato – viene spiegato da Bmo Global AM – sulla necessità di garantire modelli sostenibili di produzione e consumo, sul miglioramento della condivisione di informazioni in ambito Esg e sulla gestione degli effetti dell’inquinamento».

Transizione, tra rinnovabili e gas

Nel giorno del «Friday for Future» lanciato dalla sedicenne ambientalista svedese Greta Thunberg, bisogna ricordare però che la transizione energetica sarà lunga e che i portafogli dei gestori non potranno svuotarsi dei titoli energetici. «Noi guardiamo ad aziende che fanno evolvere il proprio business model per trasformarsi in protagonisti della transizione energetica», aggiunge Cooper . Tale posizione si traduce in attenzione per le aziende che hanno «un focus crescente sul gas naturale, una significativa riduzione del capex (spese per investimenti in infrastrutture, ndr) connesso al settore petrolifero e un forte impegno a restituire gli eccessi di liquidità agli azionisti sottoforma di dividendi e buybuck». Per la portofolio manager di Investec AM «i migliori esempi fino ad ora sono società come Royal Dutch Shell, Total e BP».

Non tutto il green rende

Occhio che non tutto è green. E soprattutto non tutto quello che è green ha un rendimento. «La sfida per gli investitori sarà distinguere tra aziende dalla crescita sostenibile e bolla verde – avverte Cooper –. Guardiamo a società con una crescita strutturale, ritorni sostenibili e un vantaggio competitivo, fornito da tecnologia e market share. Le imprese della bolla verde saranno riconoscibili per le basse barriere all’ingresso, nessun vantaggio in termini di costi e rendimenti bassi. Queste aziende vedranno una “crescita senza profitto” e non offriranno rendimenti sostenibili per gli azionisti. Un solare di bassa qualità potrebbe essere un buon esempio di questo, così come parti della catena del valore della batteria».

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