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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2011 alle ore 06:51.

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Il principio di indeterminazione di Heisenberg stabilisce che, se una particella si muove lungo un asse x a velocità V, possiamo determinarne la posizione con una accuratezza x e la velocità con una accuratezza V, ma il prodotto x per V è sempre maggiore della costante di Planck h (6,626076 10-34 kg.m2/sec). Dunque: tanto maggiore è la precisione con cui conosciamo la posizione, tanto minore è quella con cui conosciamo la velocità e viceversa.
La elettrodinamica quantistica in base a relazioni matematiche probabilistiche permette di prevedere i risultati di esperimenti ancora non effettuati con la precisione di una parte su 100 miliardi.
Non consente, però, di prevedere eventuali effetti di fenomeni subatomici su oggetti macroscopici, e certo non sull'intero universo. Queste teorie non possono essere confermate, né smentite dall'esperienza: vanno considerate come "vaccinate", cioè non dibattibili, nè interessanti.
Taluno cerca di difenderle sostenendo che altre entità fisiche sono state immaginate da fisici teorici, e poi osservate e confermate solo anni dopo.
Non è così. Fermi definì nel 1934 la particella che chiamò neutrino – la cui emissione avrebbe spiegato il modo in cui un neutrone decade producendo un protone e un elettrone – e i neutrini furono osservati da F. Reines nel 1958. Abdus Salam definì nel 1968 i bosoni W+, W- e Z che mediano la forza nucleare debole, osservati da Rubbia nel 1983.
Questi quattro scienziati hanno vinto il Nobel proprio per aver definito in dettaglio oggetti che solamente osservazioni accurate di processi complessi potevano spiegare, e poi per averli osservati e misurati. Dubito, però, che Everett e Witten conseguiranno grande fama per multiversi e stringhe: non spiegano processi oscuri e moltiplicano gli enti senza necessità.
Non appassionano le fantasie su 3 tipi di multiversi separati gli uni dagli altri, oppure spiaccicati gli uni sugli altri creando big bang, oppure che producano paesaggi creando altre dimensioni spaziali. Come scrisse Feynman: «Abbiamo bisogno dell'immaginazione, ma costretta in una terribile camicia di forza». Curioso che nella pagina precedente di «The Character of Physical Law» Feynman dicesse: «C'è un solo mondo». Greene arguisce anche: «Se l'universo è infinito deve contenere copie del nostro sistema solare che differiscano fra loro solo per qualche dettaglio». Lascia freddi questa ipotesi: se queste copie esistono a centinaia di miliardi di anni luce da noi non possiamo saperlo e non ci fa differenza. Greene azzarda che il concetto di realtà parallele è integrato nello zeitgeist, lo spirito della nostra epoca.
Emerge, quindi, nelle menti di scienziati illuminati e anche di artisti e di scrittori di fantascienza. Anch'io scrivo fantascienza, ma tengo quelle mie immaginazioni ben separate dai contenuti dei miei saggi e lavori scientifici.
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