Quando Tonito Emiliani lo fondò nel 1965, dentro la scuola d'arte della Ceramica di Faenza, pochi avrebbero scommesso su un laboratorio Cnr che pareva, ai più, un centro di studio della terracotta per piastrelle. Oggi invece l'Istec di Faenza, cresciuto a sessanta ricercatori, ha al suo attivo due spinoff, di cui la prima, la Finceramica, leader mondiale nelle protesi ricostruttive biocompatibili (prodotto chiave le calotte craniche artificiali, in ceramiche progressivamente riassorbite dal tessuto osseo) e la seconda, l'Ipecc, nei materiali piezoelettrici. «E abbiamo in gestazione altre due spinoff – spiega Alida Bellosi, direttrice dell'Istec – una sui tessuti trattati superficialmente con nanoparticelle di ceramica, che così diventano antimacchia, autopulenti, idrorepellenti. E la seconda spinoff è sulle sorgenti Led in ceramica, superiori a quelle siliconiche correnti per luminosità, durata e performance».
L'Istec, su questi due progetti, ha avuto la soddisfazione di vederseli piazzati ai primi due posti nella classifica (area Nord) di Start Cup, il concorso lanciato pochi mesi fa dallo stesso Cnr per stimolare nuove iniziative dei suoi istituti. «Certo, siamo partiti dalle piastrelle, ed è un'attività che tuttora seguiamo in stretto contatto con le aziende. Studiarne di sempre più fini e con rivestimenti esterni a massima pulizia non è tutttora banale. Ma da qui ci siamo progressivamente mossi su tutto lo spazio delle ceramiche, che nel corso degli ultimi vent'anni si è enormemente dilatato.
Dall'elettronica all'aereospazio, ai compositi, alle nanotecnologie». E qui l'Istec sta collaborando con Finceramica sull'uso di nanoparticelle ceramiche biocompatibili e "caricate" con farmaci a lento rilascio, come antiinfiammatori o antitumorali. «Iniettate nelle zone critiche queste particelle rilasciano i famaci e alla fine vengono naturalmente inglobate nell'organismo». Solo una delle ricerche in corso con la sua prima spinoff (venti anni fa). «Abbiamo un rapporto piuttosto intenso con loro, così come con l'Ipecc. È una sorta di gioco a guadagno condiviso. Si creano le condizioni per una spinoff di successo, che poi alimenterà di contratti anche l'istituto. Ci si conosce, si lavora vicini. E da anni». E questi contratti oggi sono essenziali per un istituto in cui lavorano ormai più di un terzo di giovani ricercatori a contratto.
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