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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2011 alle ore 15:44.

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Il secondo livello di risparmi prende in considerazione i benefici legati all'aumento di produttività dei processi della Pa, tramite azioni mirate (digitalizzazione dei pagamenti, dematerializzazione, uso di posta elettronica certificata, sanità digitale, pagamenti multicanale, fascicoli penali elettronici, cloud computing, ecc). «In questo caso – spiega Perego – dal momento che l'85-90% dei costi di processo della Pa sono relativi al personale, la stima dei benefici da digitalizzazione può essere ristretta ai vantaggi in termini di produttività del personale». Il punto di partenza del ragionamento è anche in questo caso rappresentato da esperienze in aziende private o miste (pubblico-privato), dove, mediamente, i progetti di digitalizzazione hanno aumentato la produttività del 20 per cento. Per la Pa i ricercatori hanno stimato un risparmio medio del 10% sulla spesa totale. «Questo è un valore mediato tra lo 0% di risparmio per le componenti della Pa "poco" aggredibili (scuola, esercito, ecc.) e il 20% di risparmi che invece si potrebbero ottenere sulla quota di dipendenti di ministeri, regioni ed enti locali». Data la spesa totale (150 miliardi), questa voce potrebbe quindi liberare 15 miliardi di risorse. E renderebbe praticabile il blocco del turnover nella Pa: blocco che – in assenza di un miglioramento dell'efficienza dei processi capace di aumentare la produttività a parità di forza lavoro – sarebbe difficile da motivare, se non in nome di un'ormai cronica carenza di risorse.

Il terzo capitolo riguarda i benefici esterni: ovvero i risparmi indotti per il sistema delle imprese e per i cittadini. I ricercatori hanno preso in considerazione due tipi di costi di interazione tra Pa e imprese: i costi della burocrazia e gli oneri derivati dal ritardo dei pagamenti da parte della Pa.
Secondo una stima del Censis, il costo della burocrazia per le imprese italiane è pari a 70 miliardi di euro. Lo studio ipotizza che un terzo di questi costi siano fisiologici, ma che i due terzi rimanenti si possano eliminare con due azioni: la semplificazione normativa e la digitalizzazione dei processi, che da sola potrebbe eliminare un terzo dei costi. Ovvero 23 miliardi di euro, che le imprese potrebbero risparmiare, ogni anno. L'altra voce considerata riguarda i ritardi di pagamento, che si traducono in costo del denaro. Oggi la Pa ha un debito verso le imprese pari a 70 miliardi di euro. Il tempo medio di pagamento è di 130 giorni (contro i 30 giorni sanciti da una direttiva europea che presto dovremo recepire). Ipotizzando un costo del denaro dell'8%, nei 100 giorni medi di ritardo le imprese pagano, in termini di interessi, 1,5 miliardi di euro all'anno. Lo studio stima che processi di acquisto e gestione d'ordine digitalizzati potrebbero ridurre i ritardi di almeno il 50%, ovvero la quota imputabile a errori o inefficienze nel ciclo di ordine, fatturazione e pagamento. Per le imprese, vorrebbe dire ridurre gli oneri da interessi per 750 milioni di euro all'anno.

Per concludere l'analisi sarebbe necessario stimare i risparmi indotti dalla digitalizzazione della Pa per i cittadini. Il calcolo dovrebbe considerare infinite variabili, sia quantitative che qualitative. Su questo lo studio si limita ad affermare che «i benefici per i cittadini sarebbero così tanti da essere difficili da quantificare», fornendo, indirettamente, un ordine di grandezza anche per questa voce. A ragione considerata la più promettente.
antonio.larizza@ilsole24ore.com

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