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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2012 alle ore 17:51.

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Coca Cola rifà il sito internet e lo chiama Coca-Cola Journey, prendendo «Journey» da un magazine dedicato ai dipendenti che ha cessato le pubblicazioni nel 1997. In genere nei siti delle grandi aziende siamo abituati a trovare informazioni corporate, comunicati stampa, news aziendali, investor relations, offerte commerciali. Elementi che nel sito di Coca Cola ci sono ancora, ma vanno cercati. L'azienda ha scelto di presentarsi ai consumatori con un magazine digitale.

La grafica, per l'appunto, un po' ricorda un sito di informazione, con le sezioni (storie, opinioni, brand, video e blog), le immagini ben in vista e i volti degli autori. Il sito, nella precedente versione, contava 1,2 milioni di utenti unici mensili e ora vuole crescere. La strategia passa ovviamente anche dai social network: su Facebook l'azienda di Atlanta è seguita da circa 55milioni di persone, oltre 635mila su twitter, poi ci sono LinkedIn e YouTube.

I manager lo definiscono «il progetto digitale più ambizioso che abbiamo mai intrapreso» e Ashley Brown, direttore della comunicazione digitale e i social media di Coca Cola, dice al New York Times che il suo team «è stato riorganizzato l'anno scorso in modo da assomigliare di più a un'organizzazione editoriale, con un programma di produzione e un calendario delle uscite». Quattro dipendenti sono incaricati a tempo pieno alla redazione del sito, mentre per la produzione dei contenuti editoriali possono fare conto su una squadra di 40 freelance (anche fotografi) oltre a figure che fanno parte dell'universo Coca Cola, partner compresi.

Tra le storie, si trovano il ritratto di atleti olimpici sponsorizzati Coca-Cola, reportage sui progetti ambientali e la storia di un guru del fitness americano che lavora in una struttura ovviamente messa in piedi dall'azienda. Le opinioni sono le più varie: c'è spazio per un'editoriale sul valore delle donne nel business firmato da Alyse Nelson, presidente e ceo di Vital Voices, organizzazione no profit partner dell'azienda in una serie di progetti.

Si può chiamare "corporate storytelling". L'azienda parla in prima persona ai clienti sfruttando le mille declinazioni del digitale e puntando sulle storie che esprimono i propri valori, dando voce a partner e associazioni del terzo settore molto lontane dal core business. E' una comunicazione diversa da quella pubblicitaria, o forse una sua nuova declinazione. Resta comunicazione, per quanto vestita da informazione. Tra le mission non c'è l'obiettività, i contenuti vengono offerti «da un punto di vista», sottolinea Brown, «ma vogliamo essere una fonte credibile». Ora la palla passa agli utenti, per capire se è solo un'esperimento o il nuovo volto della comunicazione aziendale.

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