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Questo articolo è stato pubblicato il 17 novembre 2013 alle ore 15:00.

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«Immagina il tuo competitor di sempre, spesso vicino anche geograficamente, che diventa in breve tempo un prezioso alleato. Non un cambio di casacca, perché ciascuno continua a giocare nel proprio campo, ma un'alleanza strategica. Perché restare soli è pericoloso in questi anni di crisi». Così Franco Zullo, un passato da manager di una multinazionale di telefonia mobile e oggi impegnato a mettere in rete sarti brianzoli e marchigiani. Franco ha acceso My Personal Dresser, una bottega d'eccellenza artigianale a domicilio: direttamente online è possibile richiedere un servizio sartoriale su misura.
In Toscana invece Gianni Cantarutti e Marco Parolini, due manager quarantenni, hanno deciso di mettere in rete designer e artigiani del legno. Hanno così creato Slow Wood, un network di professionisti che pensano e realizzano arredi e complementi in legno. «Queste piccole serie o addirittura pezzi unici vengono poi veicolati nei mercati del mondo, legando tradizione e innovazione e allargando il bacino dei clienti potenziali», precisa Parolini.

Così uno più uno non fa più necessariamente due, perché in rete la filiera riesce a essere più sostenibile, più performante, più scalabile. «Designer e artigiani stanno scoprendo che mettere in comune le proprie rispettive competenze consente di accrescere il business». Cambiano i distretti, che mutuano in filiere aperte. E cambiano i professionisti: gli skills richiesti ora sono molto differenti e affondano le radici in un nuovo concetto di marketing digitale. Così anche il capitale umano diventa trasversale rispetto alle competenze verticali del passato.

Una rivoluzione che propone un nuovo concetto di filiera valido soprattutto per le Pmi e le realtà artigiane. E che coinvolge differenti settori, soprattutto quello enogastronomico. Tacatì, ad esempio, è nata come piattaforma di e-commerce che consente la spesa tra i migliori prodotti locali delle botteghe della propria città. Un'idea nata da Stefano Cravero e Giulia Valente, due giovanissimi astigiani che hanno così messo in rete i piccoli bottegai di quartiere. «Dopo aver aperto a Torino, Asti, Cuneo e Milano, tra poco approderemo in Toscana. Il nostro obiettivo è sviluppare una filiera alimentare locale sostenibile, con un occhio attento ai sapori e alle tradizioni», precisa Cravero. Un nuovo concetto di rete di impresa appartiene anche alle realtà manifatturiere muranesi: così a Murano è stato attivato il progetto "Your Murano", un social commerce realizzato con le aziende che alleandosi esportano le creazioni in tutto il mondo.

Eccole allora le nuove filiere anti-crisi, create dalle ceneri di distretti spesso in concorrenza tra loro. Ora invece allearsi conviene. Un'evoluzione dei classici contratti di reti di impresa, introdotti e regolamentati in Italia nel 2009 e che in questi anni si stanno moltiplicando un po' ovunque. La crescita è tangibile, come si coglie dai numeri di Unioncamere: nel 2010 i contratti censiti erano 25 per 157 imprese coinvolte, a fine 2012 già 647 per un totale di 3.360 soggetti coinvolti, diventati quasi quattromila nel corso del 2013.
Spesso però le nuove reti nascono in modo informale, non necessariamente regolamentate. Ma anche da queste alleanze si riscontrano vantaggi oggettivi del fare impresa. L'unione fa la rete, e fare impresa insieme consente di scalare mercati interni ed esteri e quindi incrementare fatturato, di difendersi dalla burocrazia esponenziale e da una concorrenza sempre più aggressiva, di acquistare macchinari con pacchetti più convenienti. E il vecchio distretto diventa qualcosa di più articolato, uno scambio di prodotti e servizi sempre più declinabili in un mercato globale. Negli anni della crisi accade che grazie alla rete si incentivino nuove forme di collaborazione, sinergie prima impossibili soltanto da immaginarsi con i vecchi campanili, le logiche imprenditoriali del passato, i paradigmi obsoleti di concorrenza interna.

Cambia anche il concetto di competitor, a favore di alleanze che si mutuano da una maggiore alfabetizzazione digitale. In questo promettente scenario la strada resta comunque in salita e la sfida per il prossimo futuro sarà trasferire queste alleanze dalla produzione, quindi dalla serializzazione dell'offerta, alla prototipizzazione: è un salto culturale, implica l'adeguarsi a un nuovo paradigma. Ma c'è chi giura che l'esplosione delle nuove filiere nell'agone digitale, connesse anche a un nuovo modo di ideazione di prodotti e servizi, potrà ridefinire gli standard di una proprietà intellettuale che oggi deve correre su nuovi binari per competere e scalare.

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