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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2014 alle ore 17:42.

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450 iscritti, 290 partecipanti effettivi – il settimo ri-sultato migliore fra le 488 sedi in 72 Paesi diversi – e 34 giochi realizzati in 48 ore già disponibili online : sono questi i numeri della prima Global Game Jam milanese, ospitata fra le aule del Politecnico dalla mattina di venerdì a ieri sera, quando alle 18 sono stati eletti i vincitori: "Nirvana" per il migliore comparto artistico, "TwinEye" per le intuizioni innovative del gameplay e "Dub ‘em Up" quale trionfatore assoluto, il miglior gioco della jam.
Lungi dal ridurre il successo dell'esperienza milane-se – e di quelle simultanee a Catania, Roma, Torino e Genova, altrettanto entusiasmanti – ai nomi dei trionfatori, l'evento è significativo per l'impostazione e soprattutto per la capacità di indicare una prospettiva concreta di incontro e scambio fra istituzioni formative, professionalità anche extra settoriali e vetrina internazionale.

In fondo la Global Game Jam – ed è il motivo per cui a scriverne qui è chi ha fatto parte della giuria senza "conflitti d'interesse" insieme con Laura Anna Ripamonti, Spartaco Albertarelli e Andrea Pompa – ebbene, la Ggj è un "non concorso" in cui professionisti, studenti e hobbisti si sfidano per 2 giorni e 2 notti nella realizzazione di un gioco a tema solo per il piacere di competere o collaborare in team anche improvvisati.

Il tema, appunto: mai come quest'anno è stato efficace nel ribadire quanto il mezzo videoludico stia transitando verso tematiche adulte e approcci innovativi. «Non vediamo le cose per ciò che sono, ma per come siamo» recitava il dispaccio internazionale nell'indicare la traccia guida cui le produzioni della jam, dalle Hawai all'Australia, avrebbero dovuto at-tenersi.

"Dub ‘em Up" ha centrato meglio di tutti il bersaglio trasformando in un gioco multiplayer una seduta di doppiaggio, con la possibilità di condividere le proprie sessioni – scenette grafiche cui dar voce fra amici o sfidanti - online. "Nirvana" ha ritoccato le dinamiche di un tamagotchi per evidenziare come la vita di un avatar digitale possa cambiare in relazione alle esperienze cui il giocatore sceglierà di sottoporlo. E con la promessa di una nuova esistenza dopo il game over.

In "TwinEye" i due giocatori in modalità cooperativa non vedono il proprio personaggio, ma quello del compagno. E considerata la complementarità degli avatar, ogni utente deve indicare all'altro le mosse giuste per la comune vittoria.

Non è un caso che fuori protocollo altri tre titoli abbiano meritato una menzione speciale: "The Way of Life" per la capacità di declinare il tema della diversa interpretazione del reale nelle visuali di un anziano, un adulto e un bambino; "Sinestesia" per la semplicità di interazione fra avatar con abilità percettive diverse, e "Skinned" per l'intelligenza dimostrata nel tentativo di ludicizzare patologie alimentari come la bulimia o l'anoressia e di tradurle in un approccio, anche stilistico, à la Anna Antrophy, designer fra le più radicali.

Nel 2012 "Mirror Moon" di Santa Ragione e Paolo Tajé volò dalla jam alle finali dell'Indipendent Game Festival di San Francisco, sorta di Sundance del settore. Da allora l'industria videoludica italiana non è cresciuta. Ma le premesse affinché succeda stanno diventando ogni giorno più credibili. Anche per merito di una Ggj che nelle parole di Pier Luca Lanzi, deus ex machina con il suo staff dell'edizione meneghina, il prossimo anno punterà alla top five internazionale. La partita è appena cominciata.

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