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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2014 alle ore 12:15.
L'ultima modifica è del 01 luglio 2014 alle ore 10:44.

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All'inizio non si sapeva come chiamarli e sono diventati videoblogger. Quando sono arrivati sui monitor dei pc, coi loro visi bombati da webcam a basso costo, le camerette disordinate sullo sfondo e l'audio che andava e veniva in pochi hanno dato loro corda. L'etichetta YouTube Star in bocca ai professionisti della televisione suonava come presa per i fondelli. La stampa li trattava come fenomeni folkloristici. Loro tuttavia - Clio Make up, Daniele doesn't matter, Mikeligna, La Cindina,NonApriteQuestoTubo, Passion4Profession - non hanno mai dato troppo peso ai critici da piccolo schermo. Come selvaggi di genio hanno tirato dritto, accettando i sorrisetti di maniera della carta stampata e l'analisi sociologica spiccia delle televisioni. Del resto che YouTube fosse un palcoscenico di cui non vergognarsi lo si intuiva dai numeri. Ogni mese un miliardo di utenti unici scrive Youtube sul proprio browser. Vengono caricate oltre 100 ore di video al minuto.

In Italia si contano oltre 17 milioni di utenti unici al mese, quasi un quarto della popolazione. Secondo i manager di Google, con la pubblicità e il programma di partnership di Youtube, un pubblico così numeroso può trasformare una passione in un lavoro. In realtà non è così facile. Tocca sapersi gestire non bene, benissimo. E comunque non si raggiungeranno mai i livelli di Felix Kjellberg, il gamer svedese conosciuto come PewDiePie che al Wall Street Journal ha rivelato di guadagnare con la pubblicità 2,4 milioni di sterline all'anno. Il giovane belloccio strabuzzando gli occhi e infilandosi le bacchette nel naso mentre viene inquadrato giocare ai videogiochi è riuscito a ipnotizzare dal 2010 a oggi 27 milioni di iscritti. In Italia gli youtuber nostrani raccontano che sudando mille camicie, con due milioni di visualizzazioni al mese, si riesce a portare a casa un piccolo stipendio.Ecco perché dall'inizio del fenomeno la maggior parte di loro è scomparsa nel nulla. Altri, pochi, sono rimasti. Anzi, sono passati dall'altra parte.

Nonapritequestotubo alias Claudio di Biagio è partito nel 2011 su Youtube e oggi è un regista e autore multipiattaforma. Nel 2011 realizza «Freaks!», la prima web series italiana completamente indipendente che arriva al grande pubblico totalizzando più di 8 milioni di visualizzazioni, lavora poi con Rai Cinema Web. Con il suo canale raccoglie 170mila iscritti e i suoi video hanno raccolto oltre 13 milioni di visualizzazioni. A Daniele doesn't matter il salto "fuori dal tubo" non è andato altrettanto bene. Qualche comparsata in tv come ospite fisso da Piero Chiambretti, la medaglia di testimonial dell'Airc e poco altro. È comunque tra i cinque Youtuber più famosi in Italia, con 459mila iscritti, e una media di 250mila visualizzazioni per video. Bene è andata anche a Michela Parisi, in arte Mikeligna, nel 2011 entra a far parte del progetto Pupa Nail Academy in cui è la docente minimalista e l'anno dopo scrive un libro di Nail Art (Nail Art, unghie curate e mai banali). Nel 2013 sempre grazie a Pupa arriva in televisione su Real Time con Nail Lab. Nessuno di loro però ha rinunciato a Youtube. Anzi, chi ha sempre parlato del sito di videosharing acquisito da Google come a un trampolino di lancio verso altri mondi si è sbagliato di grosso. Internet si sta affermando come la backbone di trasmissione dei segnali audiovisivi, un metamedia, orizzontale attraverso cui accedere a contenuti, produzione, commercio e socializzazione. Il video-giocattolo di Brin e Page si candida a essere la principale piattaforma di distribuzione di contenuti.

Nonostante i soldi, quelli veri, continueranno almeno per i prossimi cinque anni a interessare tv e cinema uno spostamento di equilibrio è nell'ordine delle cose. La tecnologia c'è e si chiama streaming. Da risolvere c'è solo l'eliminazione di colli di bottiglia e rallentamenti. Ma anche su questo terreno, Netflix insegna, un accordo si riesce sempre a trovare.

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