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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2014 alle ore 08:12.

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aFederico Faggin vuole bene all'Italia. Non è scontato per chi negli anni Settanta, giovanissimo, è volato in Silicon Valley, ha inventato il primo microchip (il mitico Intel 4004), depositato i brevetti dei sistemi touch per poi ricevere quattro anni fa, direttamente dalle mani del presidente americano Barack Obama, la National Medal of Technology and Innovation, uno dei più importanti riconoscimenti per un innovatore. In Italia, a Vicenza, dove è nato 76 anni fa, ci torna un paio di volte all'anno. Tranne quando, confida, è chiamato per ricevere strette di mano, premi e lauree ad honorem. Attività che lo riporta molto spesso in patria. Come è accaduto alcune settimane fa.
Superpartes Innovation Campus (www.superpartes.biz/) lo ha invitato a Brescia per inaugurare un laboratorio di Open Innovation dedicato alle startup intitolato a lui. Circondato da giornalisti e giovani imprenditori, Faggin e sua moglie hanno ascoltato con pazienza la recita del cahiers de doléances tipico dello startupper nostrano: burocrazia lenta, pochi soldi, poco coraggio. Nel suo annuire attento c'era tutta l'amore per il nostro Paese. «Mi chiede se l'Italia potrà mai diventare una nuova Silicon Valley? Vede - sorride bonario come un prete che confessa benevoli i suoi parrocchiani - ci vogliono visione, competenza e mezzi. Ma sopratutto mezzi», sottolinea educato. Pausa. «Qui c'è gente con molte buone idee ma spesso si parte con una visione troppo grande. Meglio una piccola cosa, fatta bene, per poi crescere. Magari con dell'hardware così è difficile da copiare. Se però manca il resto (i soldi, ndr) come si fa?».
Federico Faggin non si nasconde e non si appassiona. Lui, le startup le ha viste crescere davvero. Nel 1986 ha fondato Synaptic contribuendo alla diffusione di massa del touchpad. Nel 2004 ha lanciato la Faveon occupandosi questa volta di sensori di immagine per fotocamere digitali. Da qualche anno si è ritirato nella sua fondazione, la Federico e Elvia Faggin Foundation. Nessuno sa con precisione a cosa stia lavorando in questi anni. Quando si parla di ricerca e computer nei suoi occhi compare un guizzo nuovo. «Ci ho pensato molto. Anzi, è dal 1986 che ci penso. Ma sono convinto che un computer tradizionale non potrà mai essere consapevole». Il tono è fermo come se parlasse a una platea più ampia, con scienziati che per anni ci hanno parlato di macchine dotate di coscienza. Ce l'ha con Ray Kurzweil, con il trans-umanesimo che ha immaginato in un futuro prossimo la possibilità di "downlodare" la nostra consapevolezza dentro un computer. Il miraggio della vita eterna. Ce l'ha anche con le promesse non mantenute dell'intelligenza artificiale. E di quella parte di scienziati che ha pensato di costruire chip capaci di imitare i processi biologici. «Una cellula vivente è un sistema molto più complesso di un microprocessore. Una forma di vita così semplice ha una capacità di elaborazione che neanche gli ingegneri più bravi riuscirebbero a emulare con i computer più potenti. Figuriamoci il cervello che è un sistema dinamico basato sulla meccanica quantistica degli atomi e delle molecole. Un sistema che elabora le informazioni in un modo che ancora non conosciamo».
Quella di Faggin è una posizione piuttosto discussa da quei tecnologi che si sono innamorati della metafora del cervello-calcolatore e della possibilità di simularne i processi imitando il funzionamento delle reti neuronali. «Molti informatici quando è nata l'intelligenza artificiale hanno pensato che la coscienza poteva essere descritta da una serie di algoritmi. In realtà non è così. La consapevolezza va studiata con una prospettiva completamente nuova». Lo scienziato vicentino prende fiato. «Quello a cui sto lavorando è una teoria matematica. Penso alla consapevolezza come una proprietà fondamentale e ineludibile dell'energia che ha creato spazio, tempo e materia. Questa energia è consapevole secondo me. Quindi voglio trovare una teoria matematica che parta da questo principio fondamentale che veda la materia come conseguenza di questa energia consapevole». I suoi occhi sono luminosi. È questa, di certo, la sua nuova grande startup.
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